Restano negli occhi e nella memoria le immagini della manifestazione parigina di oggi: la folla oceanica, i leader del mondo a braccetto in nome di valori comuni, il silenzio eloquente al posto dei soliti discorsi in piazza. Una bella giornata, che cancella naturalmente solo in parte l’orribile giornata di giovedì e quella tragica di venerdì, che hanno segnato Parigi e la Francia ma in generale tutto il mondo occidentale, che dei valori di libertà e di laicità dello Stato ha fatto suoi valori imprescindibili.
Stonano in questo quadro alcuni discorsi che sanno tanto di speculazione politica che si sono sentiti in Italia e non è improprio neppure dire che chi a suo tempo ha negato ai vignettisti di ‘Cherlie’ (e ad altri) il diritto di disegnare quel che volevano (per violazioni di legge, pure possibili, c’è sempre l’arma giudiziaria, che è ovviamente legittimo intraprendere) potrebbe anche farsi qualche domanda in merito. Un conto infatti è far notare il gusto (magari cattivo) usato nelle vignette, un conto è evidenziare l’estremizzazione e l’irriverenza totale usate anche nei confronti delle religioni, tutt’altro conto è proibire queste vignette e invocarne magari il sequestro, per non parlare dei media che non le ripubblicano per pura vigliaccheria, avallando con ciò il ricatto dei censori, che alla lunga possono così trasformarsi, radicalizzandosi, in assassini.
La Rai ha fatto poi marcia indietro oggi, domenica, rispetto alla figuraccia di mercoledì, quando non era riuscita ad allestire un’edizione speciale di informazione in prima serata su nessuna rete generalista. Meglio tardi che mai ma una Tv pubblica che mercoledì non è stata in grado di informare nelle ore più ‘calde’ degli eventi deve fare una seria riflessione sulla sua natura e sui suoi comportamenti.
Cediamo ora la parola alla collega Elena D'Alessandri, che ci ha inviato una sua interessante valutazione sui fatti di Parigi:
“Come un fulmine a ciel sereno il 7 gennaio due uomini incappucciati e vestiti di nero sono entrati nella redazione parigina del settimanale satirico francese ‘Charlie Hebdo’, uccidendo dodici persone e ferendone otto.
Una carneficina durante una riunione di redazione. Philippe Val, cofondatore del giornale satirico, ha dichiarato solo poche ore dopo ai microfoni di France Info, sgomento, la voce tremante, di aver perso la sua famiglia. “Si è trattato di una barbarie”. Cabu e Wolinski sono stati protagonisti, assieme al più giovane Charb, fin dagli anni '60, dell'avventura della satira francese.
Il Charlie Hebdo è stato fondato all'inizio degli anni '70 e si è sempre contraddistinto per la sua indipendenza. Dagli industriali come dalla pubblicità, dalle ideologie così come dal denaro. Il suo tratto distintivo è sempre stato quello di andare contro ogni fanatismo e farlo in modo dissacrante, tramite vignette "corrosive" che hanno più volte sollevato aspre polemiche.
Il primo bersaglio del Charlie Hebdo era stata proprio la Chiesa Cattolica, religione predominante in Francia. Ma sono state le caricature di Maometto a stimolare un odio disumano all'origine del massacro dello scorso mercoledì. Per la stessa ragione, nel 2006 la sede del giornale era stata incendiata e per alcuni mesi la redazione era stata ospite dei colleghi di ‘Libération’ (cosa che si è tragicamente ripetuta adesso; N.d.R.).
Mercoledì a Parigi hanno ucciso artisti liberi ed indipendenti, identificati come i peggiori nemici di ogni forma di fanatismo e fondamentalismo. Charlie Hebdo ha puntato negli anni infatti proprio sulla satira per raccontare il nostro tempo e discutere i grandi temi di attualità globale, smontando col sorriso ogni forma di estremismo.
Grandi sono state le mobilitazioni, le manifestazioni e la solidarietà da parte di colleghi giornalisti e non di tutto il mondo. In queste ore la partecipazione è molto alta, tutti sembrano incarnare il ruolo di strenui difensori della libertà di espressione. Ma così non è purtroppo e gli indicatori sugli omicidi dei giornalisti nel mondo evidenziano una realtà diversa, in cui quasi nessuno è pronto a battersi realmente per diritti, come quello di espressione o di satira, nessuno è pronto a stracciarsi le vesti.
Fabio Chiusi sulle colonne di wired.it ha giustamente commentato “Se ciascuna delle persone che ha manifestato in queste ore così vivo interesse per la libertà di espressione e di satira lo avesse fatto nei 364 rimanenti giorni dell'anno, probabilmente oggi non saremmo costretti a fronteggiare una vera e propria emergenza democratica, cui nessuna conversazione in rete, nessuna campagna di solidarietà via hashtag e nessuna condivisione delle vignette di Charlie Hebdo potrà mai sopperire. Perché è bene ricordarlo: è più semplice colpire bersagli isolati che un popolo intero che difende il suo diritto di sfottere Dio, se gli aggrada”.
Il noto vignettista italiano Vauro Senesi, che molti anni fa aveva lavorato anche per il Charlie Hebdo, ha sostenuto: “La satira è tale perché da sempre sbeffeggia potenti e prepotenti. Dopo l'attentato vigliacco di Parigi siamo tutti meno liberi. Ed anche meno felici”. La strage al Charlie Hebdo non è solo una pagina nera della storia ma è anche la dimostrazione che occorre ancora lottare per dei diritti che credevamo acquisiti. I giornalisti e i vignettisti del Charlie Hebdo sono morti perché hanno scelto di difendere la loro libertà. Ed è questo il solo insegnamento positivo che si può trarre da questo orribile eccidio”.