Post verità e giornalismo digitale, la lezione di De Bortoli

In occasione dell'inaugurazione dell'anno accademico dello Iulm di Milano, il giornalista ha tenuto una lezione su temi di grande attualità soprattutto per chi si occupa di comunicazione

Un’università permeabile, aperta all’altro e alla contaminazione fra saperi e linguaggi diversi che si incontrano e confrontano. Questo è questo il messaggio principale all’inaugurazione del nuovo anno accademico dello Iulm, la Libera Università di Lingue e Comunicazione, tenutasi a Milano lo scorso 14 febbraio.

La partecipata e interessante apertura del Magnifico Rettore Mario Negri, che si è rivolto ovviamente agli studenti in primis, ai professori dell’Università, e agli ospiti d’eccezione come il sindaco Beppe Sala e il giornalista Ferruccio de Bortoli, ha sottolineato e illustrato i nuovi progetti e i nuovi corsi di laurea sempre più aperti al territorio e al mondo, seguendo le tendenze del mercato e i bisogni di una società complessa, come quella attuale. Proprio in relazione alla società attuale è stato pensato l’intervento dell’ex direttore del Sole 24 ore e del Corriere della sera, che ha parlato nello specifico di “Post verità e ruolo del giornalismo nell’era digitale” e ha aperto il discorso mettendo in chiaro che lo stesso termine post verità gli è venuto a noia. "Il concetto di post verità crea un grande effetto collaterale», ha detto De Bortoli. «Accade sia nei dibattiti in Tv che sui social che, quando qualcuno non è d’accordo su un fatto o un’opinione, prima ancora di porsi il problema della sua veridicità, anche di fronte a dati certi, reagisce dicendo che si tratta di una post verità, una fake news". Insomma, la post verità è diventata anche uno straordinario alibi per non rispondere e non confrontarsi. Il paradosso è che si può finire per bollare come post verità, anche quello che è clamorosamente vero.

De Bortoli ha citato poi la direttrice del Guardian, Katharine Viner, che parla dell’indebolimento dell’importanza sociale della verità: “Non è tanto importante che un fatto sia vero, è essenziale che la gente ci clicchi sopra e lo condivida”. Purtroppo la velocità di diffusione di una notizia, vera o falsa che sia, ha rivoluzionato l’ecosistema dell’informazione e finito per premiare più la tempestività che l’accuratezza. “Il giornalismo di qualità, responsabile e avveduto, è oggi ancora più indispensabile. I social network sono mezzi straordinari ma non sostituiscono di per sé un buon giornale, un buon sito d’informazione. Anzi si alimentano di ciò che le testate ufficiali scrivono e spesso ne modificano, in un infinito passaparola, i contenuti. Anche nell’era degli ‘users generated content’ (qualsiasi tipo di contenuto generato dagli utenti) il cronista che vede, spiega e interpreta è essenziale a una comunità che non voglia vivere solo di verità ufficiali, che voglia preservare il pluralismo, anche e soprattutto politico. Le regole sono necessarie, come avviene nella carta stampata, dove la responsabilità di chi scrive è sempre rintracciabile. Il rispetto degli altri diritti soggettivi è sacrosanto e il diritto all’oblio va, per esempio, in quella direzione”. Altro tema delicato toccato da De Bortoli riguarda l'anonimato: "Giustificarlo troppo sarebbe come permettere alla gente di andare in giro per la città mascherata a insultare e molestare chiunque. Mettersi il casco sulla Rete e nascondersi dietro un nickname sarebbe sinonimo di libertà: ma ciò è comprensibile in un regime autoritario, lo è decisamente meno in una democrazia che tutela ogni forma di espressione. In realtà l’anonimato è la piaga del web, e spiega anche la facilità con la quale si creano bufale e false verità".

Infine si è parlato della capacità del Web di raggruppare gli individui per opinione e gusti. “La Rete tende a raggruppare i simili, a creare comunità d’opinione o di semplice affinità di gusti. È una piazza libera  e la neutralità della Rete è un grande valore, ma suddivisa in tanti capannelli che generalmente non comunicano tra loro. Siamo connessi, ma anche instabili e insicuri. La tendenza a cercare solo conferme di quello che crediamo", ha sottolineato  l’ex direttore, "porta inevitabilmente a dare peso al verosimile”.

 

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