Nello scorso novembre, il Dipartimento di Giustizia degli Usa mi ha inviato una lettera affermando che il mio editoriale apparso su ‘VideoAgeDaily’ del 14 ottobre 2014, in occasione della fiera Tv del Mipcom a Cannes in Francia, é stato analizzato ed inviato al reparto legale della loro divisione Antitrust.
Una cosa mai prima accaduta, nonostante i miei numerosi editoriali contro le fusioni, integrazioni verticali e posizioni dominanti.
Durante il Mipcom, persino il finanziere Tarak Ben Ammar (che figura nel Cda di Mediobanca e Telecom Italia) mi aveva telefonato dal suo yacht ancorato a Cannes per congratularsi per lo stesso editoriale.
Cosa affermava l'editoriale, che forse ha un po’ contribuito al recente abbandono del merger, valutato a 42,2 miliardi di dollari, tra il titano delle comunicazioni Comcast e il gigante della Tv cavo Warner Cable?
Oltre a possedere la rete Tv Nbc, diversi canali Tv cavo e lo studio Universal, Comcast, che ha la sede a Filadelfia, é anche il primo fornitore di servizi Tv cavo in America con 22, 8 milioni di abbonati. La Warner Cable, con sede a New York City, é il quarto piú importante sistema Tv cavo statunitense con 12,25 milioni di abbonati.
Se la fusione fosse stata approvata dal Dipartimento di Giustizia, si sarebbe creato un mastodontico gruppo che avrebbe controllato l'accesso ad Internet, la fruizione dei programmi televisivi e la telefonia nel 40% delle famiglie americane, con le rimanenti famiglie divise tra 19 sistemi di tv cavo che vanno da 4,5 milioni di abbonati (Cox Communications) a 100.000 (Grande Communications). In Italia sarebbe stato l'equivalente della fusione tra Rai e Mediaset, con il resto del mercato diviso tra Sky Italia, La7 e 17 delle principali Tv locali.
Naturalmente la fusione tra Comcast e Warner Cable era stata criticata anche dalle reti Tv via etere (con l’eccezione della Nbc), da numerose reti Tv cavo e dai canali video online, come Netflix. I primi temevano che un simile gigante avrebbe avuto la forza di ridurre le tariffe che i sistemi Tv cavo pagano per i diritti di ri-trasmissione (oggi valutati a 4,3 miliardi di dollari l'anno). I secondi hanno obiettato che un gruppo come Comcast-Warner Cable avrebbe optato per un bouquet ‘a la carte’, dove gli abbonati avrebbero potuto scegliere i canali a cui abbonarsi, con un ulteriore aumento dei costi di abbonamento ed un sicuro declino dei canali minori. I canali Tv online invece temevano che il gruppo risultante avrebbe imposto loro un pagamento variabile in base alla velocitá della banda larga utilizzata.
Tornando all'editoriale, questo evidenziava il fatto che “le fusioni non beneficiano i consumatori, ma solo le societá che stanno per unirsi. Questo avviene per diversi motivi, primo di tutti la riduzione della concorrenza, poi i tagli degli investimenti (non piú necessari per mancanza di concorrenza), pagando di meno per i diritti di ritrasmissione ed aumentando i costi dei servizi ai consumatori”. Inoltre, concludeva l'editoriale, “l'approvazione delle fusioni non viene decisa dai consumatori (che sono maggiormente penalizzati dalle fusioni), bensí dai politici che dipendono dall'appoggio finanziario delle grandi societá che vogliono fondersi”.
Evidentemente, almeno per questa volta, non é stato cosí e bisognerebbe congratularsi con il Dipartimento della Giustizia Usa per aver dato ascolto alle varie critiche.