Quante e quali sono le ‘Radio di partito’

Torniamo su un tema non conosciuto come si dovrebbe, ovvero quello delle (poche) Radio che hanno ottenuto finora forti contributi pubblici in quanto ‘organi di partito’. Adesso la cosa è un po’ più difficile ma in passato le cose sono andate così…

'Il Corriere della Sera' del 5 dicembre scorso nella rubrica 'Reporttime', curata dalla sempre attentissima redazione della rubrica Rai 'Report' di Michela Gabanelli, ha ripreso il tema delle cosiddette 'Radio di partito', ovvero delle pochissime emittenti radiofoniche italiane che hanno ottenuto contributi pubblici di tutto rilievo negli ultimi anni grazie al fatto di essersi qualificate come 'organi ufficiali' di partiti (appunto) o movimenti, anche composti da pochi parlamentari che hanno confermato la circostanza (cioè che quella Radio era il loro diretto 'mezzo di espressione'). Non deve sorprendere il fatto che si tratti, in quasi tutti i casi, di Radio locali, mentre Radio di partiti più noti (pensiamo a Radio Padania), pur privilegiate su altri piani (possono accendere frequenze in tutta Italia, se non disturbano altre emittenti, e sono le sole a poterlo fare), non ottengono contributi diretti in quanto viene privilegiata la carta stampata ('La Padania', per capirci, in questo caso).

Vediamo comunque la situazione degli ultimi anni, i nomi e le cifre da 'Reporttime', appunto:

“90 milioni: questo il totale dei contributi erogati in nove anni. Ora che lo Stato ha cominciato a stringere la cinghia c'è già chi pensa di “interrompere il progetto editoriale” e mandare a casa il personale.

L'anno scorso su 'Reportime' avevamo documentato l'emorragia di denaro pubblico iniziata quando con una norma fatta su misura venne consentito a una qualunque Radio locale di trasformarsi da un giorno all'altro in “organo di partito rappresentato in Parlamento”: bastava inventare un movimento politico e trovare almeno due parlamentari bendisposti che dichiarassero di rappresentare il fantomatico movimento in una delle due Camere. E molti parlamentari di ogni schieramento non si sono fatti pregare, anche perché alcune delle Radio coinvolte erano già nell'area di questo o quel partito.

L'operazione è riuscita a cinque emittenti locali: Ecoradio, Radio Città Futura, Radio Onda Verde, Veneto Uno e Radio Galileo, che si sono aggiunte a Radio Radicale nel rastrellamento di contributi pubblici (Radio Radicale poi ottiene molti soldi anche con la Convenzione per la ritrasmissione dei lavori parlamentari, riuscendo così a essere assieme 'Radio di partito' e 'Radio di tutti i partiti'; un vero capolavoro!; N.d.R.).

La legge prevedeva il rimborso fino al 70% delle spese messe a bilancio, quindi più spendevi e più incassavi. Non è un caso che i contributi annui siano lievitati dai quattro milioni e mezzo di euro del 2003 agli oltre dodici milioni del 2008, poi sono progressivamente calati. Nel 2012 però la spending review ha cancellato il “diritto soggettivo”: ora i soldi vengono messi a riparto anno per anno e in prospettiva dovrebbero esaurirsi, tuttavia lo Stato non ha ancora chiuso del tutto i rubinetti.

A fronte di questa incertezza normativa sul futuro dei finanziamenti alle “radio di partito” l'editore di Ecoradio ha recentemente annunciato che non intende più richiedere il contributo pubblico “interrompendo il progetto editoriale” (come abbiamo visto in precedenti news; N.d.R.). Una buona notizia per i contribuenti, molto meno per i dipendenti per cui si prospetta la perdita del posto di lavoro: niente contributo e quindi tutti a casa…

In Italia operano un migliaio di Radio locali che tanti soldi non li hanno mai visti e che pure occupano stabilmente centinaia di giornalisti, tecnici e impiegati. A queste imprese sono stati pure tolti i rimborsi sulle spese di gestione (energia, telecomunicazioni, agenzie di stampa).

Bisognerebbe chiedersi perché da un lato si taglia e dall'altro si continuano a spendere milioni di euro solo per poche “Radio di partito”, che sono tali solo sulla carta, in virtù di norme ora abrogate. Un tema che dovrebbe interessare al Parlamento, infatti la Rea (Radiotelevisioni Associate) ha scritto ai capigruppo di Camera e Senato per chiedere di eliminare i privilegi a questi organi di partito fantasma creati solo in virtù del contributo. Qualcuno interverrà per fermare l'emorragia? Sperare è lecito, dubitare è doveroso.

Dal canto nostro possiamo solo mettere in fila le aride cifre: dal 2003 al 2011 in totale sono stati assegnati a sei emittenti radiofoniche ben 88.887.128,00 euro, e altri soldi continueranno ad arrivare perché lo Stato deve ancora versare i contributi già previsti per l'anno passato e per quello in corso”.

L'articolo illustra quindi in una tabella le cifre stanziate per queste emittenti sempre dal 2003 al 2011 e i nomi dei 'partiti' di cui sono organi ufficiali (noi li omettiamo perché non sono movimenti politici noti, fatto salvo il caso di Radio Radicale): Radio Radicale, 37.175.401 euro; Ecoradio, 26.140.808; Radio Città Futura (Roma), 15.907.443; Veneto Uno, 4.967.258; Radio Galileo (Terni), 3.426.712; Radio Onda Verde (Cremona), 1.269.476 (nel 2011 non ha ricevuto contributi).

Infine una nota importante a margine: “Pur comparendo insieme nella lista pubblicata sul sito della Presidenza del Consiglio, Radio Radicale e le Radio locali fanno riferimento a leggi diverse. Radio Radicale usufruisce di una normativa che inserisce l'emittente nelle 'imprese radiofoniche private che hanno svolto attività di informazione di interesse generale” (art. 1 L. 230/1990), di cui Radio Radicale risulta peraltro l'unica beneficiaria. Le Radio locali citate sono invece considerate 'imprese radiofoniche che risultino essere organi di partiti politici presenti in almeno un ramo del Parlamento' (art. 4 della legge 250/1990). Dal 2007 non è più possibile diventare 'organi di partito' con la firma di soli due parlamentari ma le emittenti che avevano già ottenuto questo riconoscimento entro il 31/12/2005 continuano a essere finanziate in via 'transitoria'”.

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