Dato che su questo sito mi occupo da qualche tempo anche di cinema cercando di recensire (non è esattamente il mio lavoro, ma ci provo, più che altro per passione e divertimento) alcuni dei film più significativi che escono sul grande schermo, la situazione, peraltro largamente ‘annunciata’, che si è venuta a creare con ‘Quo vado?’ di Gennaro Nunziante, e con Checco Zalone assoluto protagonista, era decisamente ‘intrigante’. Ricordiamo i record d’incasso battuti a ripetizione e i talk-show che hanno battuto la grancassa, occupandosi in lungo e in largo dell’opera e del comico pugliese in specifico, manco si trattasse di un film che racconta chissà quali verità sull’Italia in forma satirica.
Insomma, mi era venuta una gran curiosità di vedere che cosa realmente contenesse questo ammiratissimo lungometraggio e quindi quale fosse la formula segreta del suo straordinario successo. Per la verità il precedente di ‘Sole a catinelle’ (stesso protagonista stesso regista, stessa operazione studiata a tavolino con il determinante ruolo svolto dalla Taodue di Valsecchi, per conto di Medusa e Mediaset), che a sua volta aveva sbancato il botteghino, pur contenendo una storiellina esile esile, alcune battute divertenti e poco di più, mi aveva messo abbastanza sul ‘chi va là’.
Ma tanto intenso è stato l’entusiasmo del pubblico pagante e tanto forte è stato il tam-tam mediatico (stranamente partito più sulla Rai che su Mediaset, si veda un ‘ispirato’ Giletti, fino alla ‘celebrazione’ solo successiva a ‘Matrix’ di Canale 5) che speravo onestamente di divertirmi, perlomeno, e di vedermi un bel film, con belle battute, tanta satira ben applicata, una storia significativa e soprattutto l’opportuna presa in giro dei vizi italiani. Al ritmo irresistibile di ‘La prima Repubblica non si scorda mai’, che le Radio rilanciano ogni giorno, mi sarei a quel punto unito al coro osannante il duo pugliese ‘superstar’ Medici-Nunziante.
La delusione dopo aver visto il film è stata purtroppo piuttosto intensa: di battute davvero felici ce ne sono poche (il tormentone sul freddo di Roccaraso fa forse eccezione ma c’è poco di più), le situazioni narrate sono robetta inconsistente, la satira - spiace dirlo - proprio non c’è, la regia è al minimo sindacale, il tutto è talmente esile che viene davvero da chiedersi quali siano le ragioni dell’entusiasmo di cui sopra. Parlare poi di ‘capolavoro’, di Zalone come ‘nuovo Sordi’, di un felice ritorno all’epoca della commedia all’italiana’ (altro che cinepanettoni!), ecco, questo sì, purtroppo, fa molto sorridere, se non ridere di gusto.
Cosa racconta ‘Quo vado?’è noto: c’è proprio Checco Zalone (come personaggio, non come attore), che manco a dirlo vive in Puglia, si guarda bene dal farsi una famiglia con la ‘fidanzata di sempre’ perché è il classico italiano ‘mammone’, ha ottenuto un posto fisso alla Provincia grazie all’amico onorevole e accoglie di buon grado i ‘grati pensierini’di chi gli deve chiedere un interessamento per la sua ‘pratica’, arrotondando così lo stipendio pubblico ‘sicuro’.
Ma lo scioglimento delle Province lo coglie di sorpresa perché è l‘unico che non può sfuggire al trasferimento ad altra località e incarico, essendo peraltro nel mirino di una funzionaria severissima e intransigente (una Sonia Bergamasco che sembra divertirsi molto, facendo così finalmente dimenticare tanti suoi film troppo ‘seri’ e ‘drammatici’). Quest’ultima - che gli offre inutilmente una lauta buonuscita per lasciare la Pubblica Amministrazione - gli fa iniziare allora un tour in vari luoghi d’Italia e del mondo, che portano il Nostro soprattutto in Norvegia, dove sembra integrarsi con gli usi e i costumi locali, trovando alla fine anche l’amore vero; con la partner trova poi anche la sua già folta prole, costruita con precedenti compagni.
Seguono, fra le altre cose, il ritorno a casa con l’amata e i figli acquisiti, una spedizione in Calabria (potevano mancare i Forestali?), l’approdo in Africa con tanto di tribù selvaggia ma interessata alle vicende di Checco e poi anche il soffertissimo abbandono del tanto amato ‘posto fisso’.
Gli spunti per divertirsi davvero e fare satira ci sarebbero anche stati, per la verità, ma vengono quasi sempre sprecati, a meno che non ci si accontenti di un Checco che studia il norvegese e tenta di parlarlo, della sua barbetta tanto nordica, dei tentativi reiterati di diventare meno ‘italiano’ e quindi di rispettare rigorosamente leggi e regole. Purtroppo molte situazioni sembrano venire da commedie all’italiana, sì, ma di molti anni fa e soprattutto da quelle un po’ più dozzinali (ci è venuto in mente ‘Il vichingo venuto dal Sud’ di Lando Buzzanca e infatti a un certo punto ‘il vichingo’ viene citato nella ‘parte norvegese’del film), mentre la parte in Africa sembra ricordare vagamente il famoso film ‘Riusciranno in nostri eroi…’ di buona memoria.
Ma le banalità e i luoghi comuni sono così numerosi da permettere un divertimento davvero relativo, la satira, come dicevamo, è talmente all’acqua di rose da essere assolutamente inconsistente, le incogruenze non mancano: perché, per esempio, in un film che, come da canzone, sembra volerci riportare ai ricordi e alle situazioni della Prima Repubblica, inserire l’attualissima abolizione delle Province e addirittura le Città Metropolitane? Chissà, diciamo allora che la sceneggiatura poteva essere fatta, forse, un po’ meglio.
Nel quadro così poco significativo e di scarsissima consistenza si perdono anche le presenze, pur magari ‘promettenti’ in partenza, di un Maurizio Micheli stavolta un po’ spento e di un Lino Banfi che ribadisce l’impronta pugliese, mentre Eleonora Giovanardi (già vista anche da Crozza) si fa notare per grazia e freschezza.
Che altro? Francamente poco o nulla, un film esile come il precedente, forse ancor di più, che fa ridere relativamente ma che ribadisce ancora la forza del personaggio di Checco Zalone, che non ci pare poi un grande comico ma piace in maniera irresistibile (anche e soprattutto ai bambini), per la parlata, per le smorfie, per una certa qual tenerezza e sincerità, unite a qualche battuta greve e volgare (ma mica troppe, ormai, mamma, si sa, non gradisce) e a ballate e canzoni semplici, popolari e ‘innocue’, che alludono alla politica e piacciono invece a tutti.
A questo proposito, come si possa poi dibattere appassionatamente sulle tendenze politiche di Checco e Gennaro e domandarsi pensosamente se il tutto sia ‘di destra o di sinistra’ è un altro bel mistero italiano. Verrebbe voglia di dire ‘parliamo di cose serie, per favore’, ma ci asteniamo, anche qui: il pubblico ha sempre ragione e se Zalone piace così tanto, che Zalone sia. Però magari la prossima volta, senza pormi tante domande, personalmente andrò a vedere qualcos’altro al cinema.
Ma questo Roffi da dov viene? Per piacere tu vuoi criticare un film comico pieno d’allegria. Che ne pensi di Benigni? Sicuramente ti piace. Vieni qui dove sto io a fare un film e vedi che capolavoro ti faccio.
maronna quante pippe… sempre con sta fissa della satira. zalone non fa satira, i suoi film sono solo un’insieme di gag unite da un filo conduttore. Questa volta il filo conduttore era il posto fisso e su quello è stata costruita una storiella tale da poter legare insieme le gag di zalone. Tutto qui. Tecnicamente parlando il film è pieno di difetti, però funziona, la gente si diverte, siamo tutti usciti dalla sala col sorriso stampato sul volto, piacevolmente divertiti e tanto basta, o almeno tanto basta a molti italiani, me compreso.
Caro lei, Zalone interpreta il personaggio di un agente del Corpo Forestale dello stato e le posso confermare che in Calabria non sono migliaia come la collettivita è abituata a credere, perchè quelli a cui si riferisce sono operai idraulici forestali che non ha nulla a che vedere con il C.F.S. che un corpo di Polizia dello Stato che grazie all’ignoranza collettiva viene soppresso….