Sarà dunque il 31 luglio la data finale per il Senato per approvare in prima battuta la legge sulla governance Rai. Quella che doveva essere una ‘grande riforma’, un’altra di quelle importanti del Governo Renzi, si è in realtà ridotta di significato e di importanza nel corso del tempo e già quando fu presentata - qualche mese fa - si capì che le novità erano poi relative e che lo slogan ‘fuori i partiti dalla Rai’ era giusto uno slogan e poco più, tanto che oggi sembra essere stato proprio abbandonato.
Cambia poco infatti con le nuove regole, tanto che Renzi già all’epoca della presentazione si tenne aperta la strada della nomina dei nuovi vertici (i mandati di Gubitosi e del Cda sono scaduti da alcune settimane e da questo deriva la presunta urgenza di mettere mano alla materia) con la precedente (e tuttora in vigore) Legge Gasparri.
La cosa è stata ora riproposta in una nuova versione con un emendamento del Governo che indica come possibilità la singolare strada per cui si potrebbero nominare i vertici con le vecchie regole (e dunque ci sarebbe ancora un direttore generale e non un AD) ma i poteri sarebbero quelli della nuova legge.
La Rai è materia sensibilissima - si sa - , i partiti su questo insorgono subito e la lotta politica si fa ancor più rovente se c’è di mezzo Viale Mazzini. Per questo Renzi aveva già messo da parte i propositi rivoluzionari, tenendo il punto su poche cose essenziali (a suo parere, s’intende): una Rai in cui ci sia qualcuno che comandi, più simile a una società privata che a un carrozzone pubblico, e quindi un AD con poteri ‘forti’ che per giunta venga nominato dal Governo, non si capisce bene pertanto con quale grado di indipendenza dal mondo della politica; un ulteriore rafforzamento, nella sostanza, del ruolo e dei poteri dell’Esecutivo, anche nella fondamentale materia dell’informazione e dei media.
Per il Cda (con la novità del Consigliere che rappresenta i dipendenti) c’è invece ancora da capire bene quali saranno i reali ed effettivi poteri, anche se va sottolineato che già oggi il Cda ha molto meno voce in capitolo di un tempo, nonostante sulle questioni fondamentali naturalmente sia sua la decisione che conta. Ci sarà anche un presidente e qui torna ad avere un ruolo importante la Commissione di Vigilanza, per la quale i propositi di novità (o addirittura abolizione) sono stati da tempo abbandonati.
I partiti stanno facendo ‘melina’ su questo provvedimento, un certo ostruzionismo naturalmente c’è stato ma più per dovere d’ufficio che per ‘sacri principi’ in ballo, tanto che in Commissione c’è stato anche un voto favorevole quasi generale e Gasparri non ha neppure escluso, ‘sornione’, un voto a favore del provvedimento. L’opposizione interna al PD su questo tema è invece abbastanza assente, fatto salvo il caso dell’ex ‘interno Rai’ Mineo e di qualcun altro.
Si vedrà fino all’ultimo quale testo uscirà realmente dal Senato, anche se qui i giochi sembrano quasi fatti. Il Governo vorrebbe poi un’approvazione lampo all’inizio di agosto, a testo invariato, anche alla Camera ma le chances che ciò avvenga non sono molto alte. Più probabile che si vada alla ripresa di settembre e qui si vedrà quali carte avrà in mano Renzi e quali gli altri per far approvare questo provvedimento, un’altra riforma da vantare soprattutto a fini di propaganda, al di là dei suoi ‘scarsi’ contenuti.
Ma per convincere questo Parlamento ancora riluttante a seguire la volontà di Palazzo Chigi serviva la solita ‘urgenza’ e i vertici scaduti servono all’occorrenza, anche se la casistica Rai nel tempo in tema di proroghe, ‘Cda smart’, dirigenti scaduti eppure in sella ecc. ecc., è lunga e variegata. Il resto lo faranno la solita prova muscolare con l’opposizione, la minoranza PD e i ‘gufi’ di varia natura, più le solite minacce di decreti e fiducie. Anche se l’epoca del 40% alle Europee, al di là dei proclami, sembra sempre più lontana.