Rai: tanto rumore per poco

In questi casi si è soliti dire ‘la montagna ha partorito il topolino’, ma non basta neppure a dare l’idea di come il Governo Renzi faccia infiniti proclami, annunci mille cose, per poi realizzare nella pratica cose assai diverse, talora quasi nulla. Era già successo con il canone alla fine del 2014: si doveva cambiare tutto, combattere la terribile evasione con l’inserimento nella bolletta elettrica e così riuscire a tagliare di un bel po’ l’importo del tributo. Nulla di fatto, alla fine: tutto come prima, canone uguale anche come importo.

“Io in teoria il canone lo abolirei - ha confessato ora un Renzi che sembrava quasi impotente in materia - ma mi rendo conto che è complicato”.

La materia televisiva si conferma il tallone d’Achille di questo Governo, a parole decisionista e nei fatti più che altro attendista. Si era detto infatti fin dallo scorso anno, più o meno in queste settimane, che ora alla Rai cambiava tutto. Si sono mobilitati fior di esperti, si è annunciata una consultazione generale in cui chiunque avrebbe detto la sua, al termine della quale finalmente il Governo avrebbe varato un ‘magnifico provvedimento’ che avrebbe fatto della Rai il ‘motore della cultura e dell’audiovisivo italiano’, separandola definitivamente dal quel giogo politico che da sempre l’ha come ‘paralizzata’, legandola ai giochi dei partiti, delle maggioranze di turno, del volere di Palazzo Chigi (che per anni si è poi identificato nella persona del proprietario del presunto gruppo televisivo privato rivale, Mediaset, a dimostrazione del fatto che in questo Paese tutto è davvero possibile).

I mesi sono però passati e si è arrivati puntuali senza nulla in mano alla scadenza di questo Cda e di questo direttore generale (a nostro parere, fra parentesi, fra i migliori che la Rai abbia mai avuto e non si vede allora perché non debba essere, al linite, confermato), perché fra giugno e luglio ci siamo. E cosa ha partorito il Governo decisionista, a tempo quasi scaduto?

Un ritocco della Gasparri, niente di più: nel disegno di legge di Renzi (e ci mancava anche un decreto su una materia così delicata), infatti, cambia poco, tutto sommato, rispetto alla situazione attuale: i membri del Cda Rai saranno ridotti da 9 a 7: quattro scelti dalle Camere insieme (e non più dalla sola Commissione di Vigilanza, sembrerà dunque di eleggere i giudici costituzionali, o giù di lì), due dal Governo (l’azionista) e uno dall'assemblea dei dipendenti (novità assoluta). A governare l’azienda - che si cercherà di far somigliare almeno un po’ a una normale società per azioni - sarà un amministratore delegato, che farà il capo azienda con veri poteri (vedremo quali, in realtà), nominato (di concerto) da Governo e Cda e non più il direttore generale che esiste dai tempi di Bernabei (e anche prima).

Ma la Vigilanza ci sarà ancora, perché mica si può abolirla e quindi si andrà avanti con i suoi ‘teatrini’ e le sue tante audizioni e misure di ‘controllo’.

Questa - tutto qui, davvero - la nuova Governance tanto strombazzata, con a corredo una delega sul canone e un documento politico sul futuro, perché - si vede subito - il Governo fa sul serio e si occuperà di riformare il settore televisivo anche in generale, mentre qualche esponente PD osa l’inosabile: il conflitto di interessi andrà presto in aula in Parlamento!

Poca roba, davvero, probabilmente perché la Rai e la Tv sono davvero un punto centrale per l’intero mondo politico italiano e toccarle sul serio può voler dire bruciarsi.

Renzi deve averlo capito, se anzichè fare un decreto ha sfidato il Parlamento in un modo inedito: “Questo è il mio disegno di legge sulla Rai - ha detto - , ora a voi il compito di non perdere tempo, visto che la scadenza di questo Cda è imminente, ma facciamo una cosa. Se proprio non l’approverete a breve, pazienza, faremo il rinnovo del Cda con le regole della Gasparri”.

Mica è escluso che finisca così, se le cose si complicheranno. A quel punto si passerà dunque da ‘molto rumore per poco’ a un vero classico: ‘molto rumore per nulla’.

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