Recensione: “12 anni schiavo”

È Oscar per il film dell’inglese SteveMcQueen, che sulla scia di altre opere di questi anni, riflette sulla realtà dello schiavismo, una macchia indelebile nella storia americana. Lo fa con senso della misura, unito però a una narrazione forte e poderosa.

La scoperta di pochi giorni fa, pubblicata strategicamente alla vigilia dell'assegnazione degli Oscar dal 'Washington Post', sono i documenti che proverebbero la veridicità della storia, narrata in un libro e poi nel film di cui parliamo in questa occasione: è quella di Solomon Northup, un violinista nero e uomo libero che viveva nello stato di New York nel 1841 con la moglie e i bambini. Ingannato e rapito, viene invece venduto come schiavo a un ricco proprietario del Sud agrario degli Stati Uniti. Qui comincia l'incubo, lungo 12 anni, di Solomon che si infila in un vero e proprio girone infernale, fatto di durissimo lavoro, trattamento bestiale da parte dei suoi padroni (che cambiano periodicamente, a seconda delle situazioni), gelosie familiari, violenze fisiche, psicologiche e morali che non di rado mettono anche in 'lotta fraticida' fra loro schiavi e schiave nere, tentati periodicamente dalla fuga e dalla ribellione ma respinti dalla realtà della repressione dura e delle impiccagioni esemplari (straordinaria e di enorme impatto la scena della “quasi impiccagione” di un Solomon ribelle, dopo un contrasto fra i due bianchi che lo possiedono, costretto a penzolare per qualche interminabile minuto con la corda al collo cercando la salvezza nel faticoso tentativo di mantenere i piedi a terra).
Il film non ci risparmia nessuna efferatezza ma non si può dire che ricorra alla pura rappresentazione della violenza per dimostrare le sue tesi: il tono è anzi quasi di sostanziale sobrietà, nonostante la durezza del tema. La violenza è dunque spaventosa ma non c'è compiacimento: questa è anzi solo una delle componenti della società terribile di quei tempi, dove l'uomo scuro, il nigger, era chiamato solo alla fatica fisica a favore delle ricchezze del suo padrone (sarà poi così diverso oggi nel Sud Italia con gli immigrati chiamati ai lavori stagionali?), mentre le donne erano spesso oggetto di piaceri perversi e di ferocissime gelosie da parte delle consorti dei coltivatori bianchi. Il tutto si condensava in un tritacarne inesorabile che riservava solo continui tormenti ai poveri raccoglitori di cotone.
Sono realtà scomode su cui l'America sta investigando da alcuni anni e su cui sono stati impostati alcuni film di diverso genere ma ugualmente interessanti come riflessione storica sullo schiavismo e sulla Guerra di Secessione: ci ha provato nel suo modo particolare e affascinante Quentin Tarantino in 'Django Enchained', mentre Steven Spielberg ha spaziato in lungo e in largo in quel periodo occupandosi con attenzione del livello politico-sociale in 'Lincoln'.
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Qui protagonista della storia è a tutti i livelli Solomon, interpretato con grande adesione da Chiwetel Ejiofor, circondato dagli altri sfortunati compagni di sventura, uomini e donne, e da bianchi che sono nevrotici, violenti, stupidi e spesso a loro volta infelici, presi come sono dal terrore della ribellione degli schiavi e dalle loro ossessioni di ricchezza a ogni costo.
La forza di '12 anni schiavo' è la narrazione sobria e terribile, i sentimenti disegnati con attenzione e assieme persino con discrezione: si tratta di un 'filmone' (qualcuno osa: è 'l'altra faccia', più reale, di 'Via col vento') di circa due ore che riesce a non diventare inutilmente epico, nonostante il tema, che ti prende senza eccedere, che anche nel finale commovente evita in buona misura i più facili effetti da 'happy end', passando velocemente ai titoli di coda.
Non era facile mantenere un simile senso della misura e l'inglese Steve McQueen (nome impegnativo), alla sua prima prova hollywoodiana con la Bim, ci riesce grazie a un ottimo cast, in cui spicca il fido Michael Fassbender, assieme a Benedict Cumberbatch, Paul Dano e Paul Giamatti. C'è anche Brad Pitt, che è anche produttore del film e si integra agli altri con efficacia.
C'è peraltro anche coerenza in McQueen nel raccontare un percorso infernale di progressivo svilimento del corpo umano sottoposto alla violenza. Era la violenza carceraria del suo precedente film 'Hunger', era la totale dipendenza sessuale del pruriginoso 'Shame'.
Un percorso che McQueen ci sottopone senza censure né omissioni ma anche senza compiacimento, in fondo con grande pietà e partecipazione. '12 anni schiavo' è un film d'autore che merita attenzione, un'opera compiuta e di grande efficacia, una seria occasione per riflettere sulla storia e sull'animo umano, senza rinunciare ad ammirare la bellezza dei luoghi in cui si svolgono gli eventi narrati e a godersi alcune immagini di rara efficacia.
Splendida, poi, è anche la colonna sonora e qui spicca la scena in cui gradualmente tutti i negri si ritrovano a cantare uno splendido gospel, 'Roll Jordan Roll' (ripreso anche nei titoli di coda), una canzone talmente incantevole che ci si ritrova dal pubblico a cantarla con loro, all'insegna di una struggente malinconia che non si nega alla speranza di una vita migliore.

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