Un bel film di Ferzan Ozpetek racconta con garbo e grande adesione emotiva una semplice e al contempo ‘difficile’ storia d’amore. Un’opera ‘corale’ che disegna bene uno ‘spaccato di vita’ e si concede anche alcune raffinatezze.

Gli opposti si attirano, si sa. Ferzan Ozpetek, tornato nella solare Puglia di Lecce e dello splendido mare del Salento (grazie anche al lavoro della eccellente Apulia Film Commission), ce lo ricorda con questo film, dove il centro della scena è occupato da una storia d'amore fra una classica 'brava ragazza' (Kasia Smutniak) che fa la cameriera in un bar e aspira ad aprire un bel mega-locale tutto suo, e un meccanico 'buzzurro', davvero rozzo e pure omofobo, ignorante e incapace persino di leggere due righe come si deve, che però la attira in modo irresistibile, per la sua formidabile fisicità innanzitutto e poi per quel 'non so che' che scatta con chi è talmente diverso da te da formare assieme a te una effettiva coppia 'media', diciamo così.
Di queste storie d'amore e di questi matrimoni ce ne sono mica pochi, in effetti, anche se qualcuno ha trovato un po' irreale tutta la situazione fra Elena (Kasia, la nostra protagonista) e Antonio (il 'buzzurro' che ne diventa marito, interpretato dal famoso 'ex tronista' Francesco Arca). Se anche fosse, va osservato, è un particolare, perché il discorso che Ozpetek svolge nel film è molto più complesso rispetto a quel che appare a prima vista, nel senso che gli opposti che si attirano e si combinano non sono solo Elena e Antonio, ma anche la vita e la morte, il passato e il presente, il tragico e il comico, persino il sesso e l'amore, che magari proprio opposti non sono necessariamente. Tutto è comunque mescolato benissimo insieme in questo spaccato di vita, raccontato dal regista romano-turco con maestria e grazia.
Intorno alla barista Elena brulica un bel 'campionario di persone', come è tradizione nei film di Ozpetek, anche strane o curiose; ci sono amici (gay o meno) e amiche, soci e colleghi, la madre e una bizzarra zia (Elena Sofia Ricci) solitaria e per questo sempre alla ricerca di qualcosa o qualcuno per cui 'spendersi' e di un focolare, che naturalmente è quasi sempre quello di Elena e della madre. A questo piccolo clan vanno ad aggiungersi - con relative tensioni - il marito Antonio e i due figli, maschio e femmina, che nascono dall'unione.
Va da sé che il matrimonio procede fra alti e bassi: Elena è presa dal successo del locale che alla fine è riuscita a inaugurare, lui la tradisce con costanza e vigore ma in fondo l'ama veramente, forse anche consapevole di valere molto meno di lei. Le liti, anche alla presenza dei rassegnati bambini, sono in fondo nella norma, fino a che subentra un fattore sconvolgente: lei si ammala, ancora giovane, di tumore al seno e affronta con coraggio tutto il calvario della malattia, senza mai perdere né la speranza né la piena consapevolezza di sé.
Il racconto di Ozpetek, alle prese con la 'grande tragedia' che spesso incombe nei suoi film, correva il rischio di finire nel melodrammatico. Ecco che allora la scelta è quella di svolgerlo invece su un singolare crinale che alterna (gli opposti di cui dicevamo) il tragico al comico, o meglio a un leggero eppure efficacissimo umorismo espresso dai personaggi e dalle 'macchiette' del film. Tutto questo serve a trasformare i lacrimoni in sorrisi liberatori, coinvolgendo il pubblico in questo cammino su un filo sottilissimo, che però non si rompe mai, va detto.
A fare la differenza è la eccellente qualità registica di Ozpetek, che danza con la macchina da presa per tutta la prima parte del film attorno al suo personaggio-chiave, la bella e serena Elena, per poi raccontare le vicende della sua vita con una rara qualità di sceneggiatura, ottimamente scritta dal regista stesso, di nuovo assieme a Gianni Romoli (già suo stretto collaboratore ai tempi di 'Harem Suare' e 'Le fate ignoranti'), che produce pure l'opera con Tilde Corsi e Rai Cinema.
A piacere è soprattutto il senso di verità che Ozpetek trasmette con questo spaccato di vita, pieno di suoni e colori ma anche di malinconia e di sottile tristezza. Sono anche le contraddizioni della vita, narrate con uno sguardo curioso e tenero al tempo stesso. Ne è l'emblema la compagna di stanza di Elena (una bravissima Paola Minaccioni), che sorride sempre e fa continue battute, pur essendo palesemente sola e anche alla vigilia della morte.
Come sempre, Ozpetek incanta per lo stile e la maestria, concedendosi anche alcune raffinatezze. La scena con la moto e il Suv che quasi si scontrano in spiaggia può sembrare manierista, visto che sulla moto e sul fuoristrada ci sono gli stessi nostri due protagonisti, ma è un modo singolare per simboleggiare l'inesorabile passare del tempo: solo la spiaggia è la stessa, Elena e Antonio invece hanno lasciato la moto proprio per la grande auto che tanto li aveva infastiditi da giovani. Sono sempre loro ma sono anche diversi, perché il tempo cambia e trasforma tutti noi.
Non è l'unico 'colpo da maestro' del film, che per esempio è tutto 'condotto' da un punto di vista 'femminile': se tutto ruota attorno a Elena, alla mamma e alla zia, poiché sono le donne a condurre davvero la vita, non sarà diverso per le nuove generazioni: fra i figli di Elena, solo la bambina parla, consapevole, attenta e molto intelligente.
Infine c'è la famosa scena di sesso all'ospedale, che molto ha fatto parlare. Antonio desidera Elena anche malata e malridotta e la prende anche in una situazione così estrema, regalando oltretutto la gioia della visione di un rapporto d'amore alla altrettanto malconcia compagna di stanza. Sarà una forte irriverenza 'alla Almodovar', un modo per rompere un tabù? Più probabilmente è un altro racconto di contraddizioni: il senso vitale del sesso che si oppone alla malattia che porta alla morte, i corpi che si attraggono quasi oltre la vita, tanto che il seno di lei, pur malato e simbolo di malattia, sembra tuttavia bello e desiderabile, con il suo aspetto ancora quasi adolescenziale.
Non si può non riservare un'ultima nota agli attori, cui è toccato l'onere di sacrifici anche fisici di non poco conto (a causa delle differenti fasi narrate nella vita dei due protagonisti). Kasia è incantevole, attrice ormai matura e consapevole, e Ozpetek la sceglie non a caso come 'sua musa', stavolta.
Lui ha invece in apparenza un'espressione sola e naturalmente dovrà ancora lavorare parecchio, se vorrà continuare a fare questo mestiere. Ma Francesco Arca si mette qui al servizio del regista, che proprio questo voleva da lui, la rappresentazione di un uomo 'grezzo', privo di cultura e sensibilità, che però emana sensualità, forza e vigore e sa anche amare, a modo suo. Anche qui - ci pare - Ferzan ha scelto ottimamente, alla fine.