Non decolla il film di Diego Bianchi (Zoro) alle prese con il grande schermo. Il tentativo non convince, sia perchè ci si riferisce nientemeno che a Spike Lee, sia per la mancanza di una sceneggiatura adeguata. E il guaio peggiore è un altro ancora…

Premessa doverosa: Diego Bianchi (Zoro in Tv e sul Web, non in questo film invece) è un talento, in effetti, e la trasmissione 'Gazebo' alla nostra redazione è piaciuta subito, per il suo modo disincantato, ironico e 'disinvolto' di guardare alla realtà politica italiana (e anche a Twitter): gli articoli pubblicati su 'Millecanali' in tempi non sospetti ne sono una dimostrazione.
Ciò non toglie che alla prova del cinema, al fatidico confronto con il grande schermo che il nostro eroe ha voluto provare ad affrontare, purtroppo le cose si complichino assai e questo film finisca per sembrare 'fuori luogo', la classica occasione sprecata, come si suol dire, anche perchè i mezzi Rai Cinema e Fandango sembrano stavolta averli messi.
Diego Bianchi vuol provare a fare del cinema e l'idea è legittima (per carità) ma per farlo non riesce a uscire dal piccolo mondo in cui naviga, quello dell'ex militante di sinistra che guarda in modo ironico e disincantato (non senza un velo di tristezza) l'attuale realtà politica e sociale. A Roma, naturalmente, nel quartiere San Giovanni dove vive e lavora (e il romanesco strettissimo dei dialoghi non aiuta per niente a rivolgersi a tutto il pubblico, fra l'altro), più o meno, sempre con la fedele telecamerina al seguito, intento a documentare e riflettere su quel che vede e osserva.
Non poteva che essere così anche per il film 'Arance e martello', allora, la politica di oggi e il PD in specifico viste appunto dal romanissimo quartiere San Giovanni, dove però la realtà ormai è per forza multietnica. Ci sono pakistani, africani, etnie varie e tutto è per forza assai complicato anche al mercatino rionale, dove si ritrovano un po' tutti.
Diego ci vuole raccontare un apologo significativo riferito al suo quartiere che illumini sulla realtà politico-sociale italiana in generale, si diceva, e lo vuol fare in forma cinematografica. Sceglie allora esplicitamente di farlo ricalcando alla lettera (addirittura) il precedente illustre di 'Fa' la cosa giusta' di Spike Lee: stessa apertura con la ragazza che balla, stessa Radio localissima come prima scena ecc. ecc., ma certo prendere un riferimento così impegnativo e rinunciare in sostanza a una propria idea di cinema è già una cosa che può sembrare discutibile.
L'altro espediente cui si fa ricorso è quello di raccontare la vita di una sezione del PD frequentata ormai da militanti quasi 'rassegnati' che si trovano improvvisamente alle prese non con la 'linea' da individuare e da discutere o magari con le primarie da organizzare ma con un problema concreto e immediato: la decisione del Comune di Roma di chiudere il mercatino rionale di cui sopra.
Di qui tutto quel che segue: occupazione della sezione anche da parte dei commercianti di destra; minacce di farla salta in aria o di bruciarla, se non ci sarà un ripensamento da parte del Comune di Roma, e anche ostaggi, cariche della Polizia, vicissitudini varie che portano al 'provvisorio' finale della vicenda.
In mezzo ci sono una lunga serie di figure e figurine del quartiere, militanti e no, e c'è lo stesso Diego, naturalmente, qui indicato come 'il giornalista' ed ex militante (“ma militavo vent'anni fa” - assicura lui). Le figurine sono talora gustose o anche molto gustose, quello che non convince è il racconto che vorrebbe far riflettere su un po' tutto (dal senso della politica alla situazione dell'Italia di oggi) e che si perde nei suo propositi un po' troppo ambiziosi e non riesce neppure a divertire, se non (purtroppo) molto a sprazzi.
Il guaio peggiore però è un altro: lo spunto del film è la raccolta di firme del PD per far cadere il governo Berlusconi nella caldissima (ancora un riferimento a Spike Lee) estate del 2011, anzi nel giorno più caldo di tutti (46-47°, stando ai termometri stradali inquadrati). Parlare dell'attualità politica del 2011 nel 2014 è come parlare del passato remoto: non c'è Renzi, il problema è ancora far dimettere Berlusconi e tanto agitarsi per una storia di tre anni fa per un giornalista su generis come Diego che tuttavia parla sempre di attualità sembra veramente 'fuori luogo'ed è persino 'spiazzante'. Non mancano riferimenti persino al sindaco Alemanno (Giorgio Tirabassi), a dimostrare come ormai si parli di qualcosa che forse ormai interessa pochi.
Non è in discussione la buona volontà di Diego, né sono in discussione le sue qualità, diciamo però che dovrà ripensare tutto se vorrà fare ancora cinema. Altrimenti farà bene a restare nel suo seminato, con il taxista iper-barbuto di 'Gazebo' (qui compare solo in un fotogramma) e i disegni di Makkox, che caratterizzano anche qui il finale. Per i televisivi fare cinema non è affatto facile, forse solo Pif ha trovato chissà come la chiave giusta. Riprovaci, Diego, questa non è stata proprio la volta buona.
“Parlare dell’attualità politica del 2011 nel 2014 è come parlare del passato remoto … a dimostrare come ormai si parli di qualcosa che forse ormai interessa pochi.”
O Mauro ma che sei Piddino?
Perché Manzoni nel 1827 pubblica un romanzo sulla Milano di due secoli prima? Nell’800 a chi interessava più, la vita sotto la dominazione spagnola? Forse interessava perché quel romanzo era una metafora sulla Milano contemporanea?
Magari riguardati solo il pezzo della votazione. Da quando Trieste dice che voteranno solo i tesserati a quando dice “ok allora votano tutti” – minorenni e neofiti freschi di giornata compresi. Nel mezzo una spassosa discussione di macchiette che – nonostante l’età avanzata di alcuni – si vede benissimo che non hanno mai praticato la democrazia. Trieste meno di tutti. Per carità, onesta donna e brava mamma. Però.
Non ti ricorda qualcosa? Forse le molto più recenti “primarie” di un partito sedicente democratico in cui i criteri per avere diritto al voto cambiavano da circolo a circolo. Per non parlare delle tessere false…
E’ una metafora, Mauro. Il piccolo Circolo rionale come miniatura del grande partito. Era facile, no?
Si d’accordo, se Bianchi fosse andato indietro di due secoli sarebbe stato più facile. O forse hai solo perso l’avviso prima dei titoli. Era un film in costume!