Date le dimensioni dell’operazione e la ‘statura’ del personaggio descritto, che, diventato Papa, sta rivoluzionando molte cose in Vaticano, il rischio c’era e c’era anzi da fare una facile previsione: il film che racconta la sua vita prima dell’ascesa al trono di Pietro, ambientata per giunta in quel Paese ‘alla fine del mondo’ che Papa Francesco ha evocato fin dalla sua elezione, sarebbe stato probabilmente ‘epico’, ‘trionfalistico’, eccessivo nei toni e nelle situazioni, insomma, si andava verso la classica ‘agiografia’.
Ma sarà perché Papa Francesco è davvero diverso da tanti suoi predecessori, sarà per la saggezze delle scelte di Pietro Valsecchi di Taodue, che pure dà vita a un’operazione di grandissima importanza per Mediaset (il film è in fase di vendita in tutto il mondo e sarà ‘ampliato’ in una serie Tv da 200 minuti), il lungometraggio attualmente nelle sale è tutt’altro.
Il regista Daniele Luchetti (lasciamo da parte le polemiche subito sorte su come è perché si sia arrivati a lui e sulla effettiva ‘genesi’ del film) ha puntato sulla sobrietà e su un racconto che ha quasi toni ‘documentaristici’, a partire dalla fotografia, affatto ‘luminosa’ ma quasi ‘spenta’, sobria anch’essa come lo spirito che ha pervaso l’intera opera.
Si racconta naturalmente la vita di Jorge Bergoglio, gesuita argentino che non si ribella mai in modo diretto alle leggi della Chiesa, perché accetta subito l’obbligo dell’obbedienza, né fa scelte politiche esplicite (la ‘teologia della liberazione’ e scelte radicali come quelle di Helder Camara non gli appartengono, anche se non le condanna esplicitamente), ma pure, senza enfasi e con efficacia, lavora per stare nei fatti dalla parte dei deboli e degli indifesi.
Dopo un breve accenno alla vita di Bergoglio prima della scelta di farsi prete (anche qui si preferisce non puntare sul facile effetto che avrebbe avuto occuparsi in dettaglio della ragazza innamorata di lui e dunque delusa dalla sua volontà), ecco che si entra nel ‘centro’ del racconto, con i terribili effetti della dittatura militare che ha oppresso a lungo l’Argentina, con la giunta Videla e lo spaventoso fenomeno dei desaparecidos. Bergoglio lavora a lungo più o meno sottotraccia per proteggere i perseguitati, mette a rischio se stesso e l’istituzione cui è preposto (è responsabile provinciale gesuita) ma alla fine riesce nei suoi scopi solo a fasi alterne, anche perché la Chiesa ‘ufficiale’ spesso sta dall’altra parte, quella del regime.
Anche qui il racconto non sposa toni epici ma delinea bene la personalità di questo futuro Papa, mai ribelle fino in fondo ma convinto di poter operare ‘nei limiti del possibile’ per migliorare la società argentina e la vita delle persone dall’interno della Chiesa e rispettandone le leggi.
Dagli anni durissimi della dittatura (il racconto non trascura scene dure che alludono alle spaventose torture inflitte ai ‘ribelli’, senza per questo diventare un ‘film di denuncia’ tipo ‘Garage Olimpo’ e simili) si passa a quelli successivi, dove ingiustizie contro cui battersi sicuramente continuano a non mancare: ecco Bergoglio schierarsi contro la distruzione di una zona periferica in cui si è trovato ad operare facendo fronte fino all’ultimo a spietati speculatori che volevano distruggere il quartiere e la sua comunità.
Poi, con un salto un po’ brusco (qui forse il taglio di una parte del racconto per arrivare dalla serie Tv al film non è riuscito al meglio), ecco la spedizione a Roma per il Conclave e quella elezione che in Argentina viene festeggiata con grande gioia e esultanza. Qui il film ha forse la sua unica parte ‘emotiva e emozionate’: si tende alla lacrima, ma forse qui non se ne poteva fare a meno.
Un film ‘onesto’, che adotta il giusto tono e descrive fatti e situazioni quasi con un certo ‘distacco’, evitando sempre la retorica. Il cast è adeguato all’operazione e costituito per la gran parte da attori ‘latini’ a noi ignoti, con un bravo Rodrigo de la Serna (già nel mitico ‘I diari della motocicletta’ sulla gioventù del ‘Che’) che fa a sua volta il suo ‘tremendo lavoro’ (quello di interpretare il ‘giovane Papa’) con efficacia e senza fronzoli.
Un film diverso da quel che ci si poteva aspettare, dunque, che pensiamo sia piaciuto allo stesso Papa Francesco.