Il lavoro non è più un diritto ma una ‘conquista quotidiana’ e i più sfortunati possono facilmente rimanere indietro. Si lotta così per sopravvivere, in una società disumana dove vige la ‘guerra fra poveri’. I Dardenne con semplicità e immediatezza assoluta raccontano tutto questo.

In una piccola fabbrica belga si è creata una situazione purtroppo ormai tutt'altro che infrequente: la necessità di ridurre il costo del lavoro (perché “abbiamo visto che in sedici ce la facciamo”) crea una situazione di contrapposizione all'interno degli operai, anche per via di un cinico caposquadra che cerca di mettersi in luce a qualunque costo. A farne le spese è Sandra (purtroppo non sempre nel doppiaggio il nome viene pronunciato correttamente 'alla francese' con l'accento finale), che dopo una serie di problemi di salute e depressione dovrebbe rientrare al lavoro; intanto però ci si è riorganizzati senza di lei e un 'precario' assicura il 'numero minimo' necessario alle esigenze lavorative. Un referendum fra gli operai dovrebbe sancire l'allontanamento di Sandra e avrebbe come controcanto un bonus di circa 1000 euro per tutti gli altri, per i quale si libererebbero così le risorse.
Sandra però lotta con disperazione per non perdere il suo lavoro, ottiene una seconda votazione di lunedì e approfitta del week-end per andare a trovare i colleghi e convincerli a votare per la sua permanenza in fabbrica.
Marion Cotillard accetta con grande bravura il 'doloroso' ruolo di Sandra, che i fratelli Luc e Jean-Pierre Dardenne ritagliano su di lei. E su di lei puntano la cinepresa per tutto il film, con il solito stile diretto e semplice, quasi 'spietato' nella sua immediatezza, che il duo belga adotta, con rara efficacia, per raccontate storie di società e di lavoro (quelle che al cinema, fatti salvi Ken Loach e pochi altri, si vedono decisamente poco).
Eccoci dunque a seguire ora per ora, minuto per minuto, le vicissitudini di Sandra, che ama isolarsi e deprimersi (imbottendosi di pillole fin quasi al suicidio), ama stare coi suoi bambini ma non riesce a trovare in loro una ragione di vita, ha un marito che la ama ma che non è in grado di darle la forza per vivere e lottare.
Il viaggio di sabato e domenica alla ricerca dei colleghi che stanno per (ri)votare sulla sua vita e sul suo lavoro svela tante piccole grandi storie, riferite a svariate etnie (come è logico, oggi): c'è la vigliacca che finge di non essere in casa, c'è il collega dal cuor d'oro che si dispera di aver votato contro di lei e le assicura solidarietà, c'è chi - e sono la maggior parte - assicura di non avercela con lei ma anche che quel bonus serve ('mettiti al posto mio'), perché le necessità di famiglia lo impongono e non ci si può proprio rinunciare.
In altri casi, l'arrivo improvviso di Sandra porta situazioni già delicate al punto di non ritorno: una collega litiga col marito - che vuole assolutamente il bonus - , si separa all'istante da lui e va addirittura a dormire a casa di Sandra.
Tante situazioni, tanti personaggi che rivelano l'attuale assetto di una società ormai del tutto disgregata, dove sono saltati non solo i legami di classe di un tempo ma (quasi) qualunque solidarietà, per cui c'è sempre chi ha qualcosa (quasi tutto) da perdere, come il precario che al ritorno al lavoro di Sandra sarebbe forse messo fuori dalla fabbrica e deve votare su questo, fra mille tormenti.
I Dardenne hanno la rara qualità di raccontare storie vere, che danno il senso della società in cui viviamo, in Belgio come in Italia. Il loro stile asciutto e appunto diretto come nessuno, una camera che segue Sandra da vicino per due giorni e una notte, è di un'efficacia formidabile, perché senza perdere la qualità autenticamente cinematografica, sembra quasi voler puntare sul documentario, su una rappresentazione 'dal vero' del mondo in cui viviamo. E se la realtà è abbastanza tremenda - sembrano dire i Dardenne - non ve la prendete con noi.