Recensione: ‘E la chiamano estate’

Polemiche a non finire per un film che ha inaspettatamente ottenuto alcuni premi al Festival del cinema di Roma. Ai critici italiani non era invece piaciuto e la ragione sembra evidente: molto ambiziosa, l’opera non comunica quasi nulla e anche Isabella Ferrari sembra smarrita…

Le polemiche sono note: il film di Paolo Franchi 'E la chiamano estate' è stato accolto al recente Festival di Roma da risatine e commenti non proprio 'simpatici' (che comunque ci sembrano da evitare per giornalisti che non sono né al bar né allo stadio e devono comunque un minimo di rispetto a tutti i film) da parte della critica, mentre poi a sorpresa la giuria l'ha giudicato degno di più di un premio, compreso quello alla protagonista Isabella Ferrari.

Spiace giudicare incomprensibile il verdetto della giuria (che avrà avuto i suoi motivi per premiare l'opera, non ne discutiamo) ma si tratta di un film tanto pretenzioso quanto totalmente inconcludente, anzi a dir la verità non si capisce proprio, alla fine, di che tipo di film si tratti. L'attenzione morbosa di molti si è naturalmente incentrata sulle scene di sesso, che non mancano ma sono ben poco erotiche: sono forti e ai limiti dell'hard proprio perché si tratta di sesso disperato, nella visione di Franchi, di un sesso completamente separato dall'amore, poiché il protagonista della pellicola ha sì trovato alla fine la donna della sua vita ma non riesce proprio a farci l'amore, bloccato da chissà quale 'profonda remora' psicologica.

Buono e generoso nel suo lavoro in ospedale, il nostro protagonista, interpretato senza infamia e senza lode da uno stranito Jean-Marc Barr, nasconde un lato diverso della sua vita: gli piace il sesso estremo e morboso, o forse non riesce a farne a meno, a due, a tre, con contorno di prostituzione, scambi di coppie e perversioni varie e in queste occasioni cambia anche personalità, diventa pure un po' violento. Con l'amata Isabella Ferrari - un incontro per entrambi non proprio nel fiore degli anni - invece tanto amore 'vero' ma niente sesso, non c'è niente da fare.

Desiderio e sublimazione, materiale e spirituale che non si incontrano, incontro invece di anime (e non di corpi), impossibilità di vivere una vita 'piena e serena', con conseguente infelicità, struggimento, tormento infinito. Già il tema, descritto così, è un po' fumoso, 'letterario', difficile da esprimere e da reggere in un film. Franchi lo declina con alternanza di romanticismo, passione, sesso e disperazione.
Ne esce un melodrammone davvero poco digeribile, che non comunica quasi nulla allo spettatore, a parte il profluvio di violini, di presunte scene ad effetto, di situazioni 'al limite' (Barr che va cercare gli ex fidanzati dell'amata per invitarli a soddisfarla di nuovo sessualmente, dato che lui non può proprio farlo; la ricerca riuscita di un giovane amante sempre per lei).

Sarà un apologo sull'impossibilità di amare, in senso 'totale'? Più probabilmente Franchi prosegue nell'esplorazione delle 'varianti un po' estreme' del sesso che aveva già avviato qualche anno fa con 'La spettatrice', con la brava Barbara Bobulova.
Purtroppo in quest'opera Franchi vorrebbe forse anche essere Antonioni, specie quello degli inizi (e Isabella Ferrari potrebbe allora essere la sua 'musa', la Monica Vitti di allora), ma ben poco di tutto ciò arriva al pubblico, anche volenteroso, che si accosta a questo film.
Perché poi siano stati scomodati Bruno Martino per il titolo e la canzone (con nuovo contorno di polemiche) e in contrappunto pure Rita Pavone, resta un altro piccolo mistero.

Probabilmente anche la produttrice Nicoletta Mantovani con la sua Pavarotti International, che pare intenzionata a impegnarsi ora anche nel cinema, aveva buone intenzioni ma davvero sembra partita maluccio con questo film. E non bastano certo le presenze - che fanno colore - di Luca Argentero e della figlia di Albano Romina Carrisi a far trovare motivi di interesse.
Nel marasma generale si smarrisce anche Isabella Ferrari: il suo sex appeal ancora in parte esiste, nonostante non sia più quello degli anni giovanili e il pesante trucco non aiuti di certo, ma sembra difficile che emerga da un film così. L'attrice si aggira all'interno della pellicola a sua volta senza costrutto: sembra quasi che anche lei avesse capito di essere capitata in un'opera inutilmente ambiziosa (specie dal punto di vista stilistico, curato in modo attentissimo, al servizio però di nulla) ma alla fine fredda, sgradevole e anche irrisolta.

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