Dimenticate il Salvatores che conoscete, quello di ‘Mediterraneo’ e di Abatantuono tanto per intenderci, e pensate a un film diverso, ambientato in luoghi a noi sconosciuti, abitato da popoli che ci sono ugualmente ignoti. E metteteci la maestria del nostro regista. Ecco ‘Educazione siberiana’.

La prima cosa è cercare di capirci qualcosa, perché mica è facile. Siamo in Siberia? Macché, siamo in piena Europa propriamente detta, anche se quel che si vede è da tipica Repubblica post-sovietica, in territori a noi sconosciuti, anche se non certo così lontani e anzi interni al nostro continente, appunto. Non siamo nelle Repubbliche Baltiche (il film è stato girato in buona parte in Lituania) e neppure in Romania. Saremmo invece in Moldovia, più o meno, ma va specificato che il territorio è in realtà quello della Transnistria, una specie di Paese-fantasma non riconosciuto da nessuno o quasi che si trova oltre il fiume Dnestr, che è molto protagonista del film, infatti. Qui - in una regione sfortunata dimenticata da Dio e dagli uomini - sarebbero state deportate in passato molte bande criminali che evidentemente era meglio piazzare qui e che quindi avrebbero preso il controllo del territorio (ognuna una zona), avendo come nemico e bersaglio fisso l'esercito e la Polizia, sovietica prima, russa più che moldava dopo la caduta del Muro.
Insomma, nascere qui, fra catapecchie e grattacieli sorti dal nulla senza alcuna ragione apparente, con un'economia primitiva e poverissima, con un clima non favorevole, con neve e alluvioni che si alternano al caldo estivo, non è proprio il massimo della vita, tanto per capirci.
Già ma la Siberia è lontana e allora cosa c'entra? Ce lo spiega il romanzo di Nicolai Lilin (scrittore di recente successo che si è imposto in Italia, dove vive) da cui Gabriele Salvatores ha tratto il film: era stato Stalin, all'epoca delle sue spaventose deportazioni forzate a fare il contrario di quel che si faceva di solito, ciò a portare a forza qui dalla Siberia una particolare etnia, quella degli Urka, che vivrebbero di criminalità sì, ma impostata secondo codici antichi molto precisi: niente droga, per esempio, disprezzo del denaro per il denaro, l'unico nemico è lo Stato come autorità costituita (e quindi gli avversari sono solo i soldati e i poliziotti), mentre le donne vanno rispettate, anche quando sono un po' ritardate mentalmente (come Xenya, interpretata benissimo nel film da Eleanor Tomlinson), perché poi quelle sono solo persone più sfortunate di noi, 'volute da Dio'.
Ebbene, gli Urka siberiani deportati in Transnistria e radicati nel quartiere di Fiume Basso della città di Bender (negli altri quartieri comandano e delinquono altre etnie) non possono evidentemente aspirare a una gran vita. Per fortuna si accontentano di poco e dovrebbero così seguire gli antichi codici d'onore che il vecchio nonno Kuzya (uno straordinario John Malkovich, si veda la scena in cui si atteggia a lupo, raccontando una delle sue metaforiche 'storie di vita') tramanda al giovane duo Kolima-'Gagarin', con simbolismi e comportamenti obbligati, da 'criminali onesti'.
Purtroppo i tempi sono cambiati e Gagarin non ci sta più: troppe le tentazioni presenti, dalla droga al denaro facile, troppa la voglia di trasgredire, che l'esperienza in carcere da 'piccolo criminale' non ha fatto che accentuare.
Il film di Salvatores, che racconta fatti e luoghi con cura, attenzione e grande fascino visivo, diventa allora contemporaneamente una vicenda di amicizia e tradizioni perdute, che non possono che degenerare in tragedia, una storia di ragazzi che crescono e diventano adulti soffrendo e tradendosi, fino all'inevitabile epilogo, ma anche un vero e proprio crime-movie, che non rinuncia agli elementi propri del genere 'noir' e li sa coniugare all'originalissima ambientazione con intelligenza e bravura.
Salvatores sembra voler chiudere definitivamente l'epoca, pur 'mitica', di 'Mediterraneo' e prima ancora di 'Marrakech Express' e anche quella, brillante e spiritosa, del recente 'Happy Family'; niente più luoghi caldi e invitanti, niente più quella Milano dove è vissuto a lungo con amici e compagni d'avventura. In questo caso, dopo varie altre belle esperienze (si pensi al bellissimo giallo, con dentro tanto fascino visivo e audiovisivo, di 'Quo Vadis, Baby?'; si pensi a 'Io non ho paura' e ai suoi bambini coraggiosi), siamo proprio all'estremo opposto dei caldi colori mediterranei: c'è tanta neve (magari in Transnistria ce n'è un po' meno ma bisognava pur far pensare alla Siberia), c'è tanto freddo, c'è una vita aspra e difficile, totalmente ingrata.
Salvatores ha voluto concedersi l'esperienza di un film del tutto 'non italiano' (non c'è un solo attore di casa nostra e ovviamente si è girato in inglese), dove c'è tanta Russia (intesa in 'senso ampio'), ricreando e creando sullo schermo atmosfere, popoli, vicende e situazioni a noi totalmente ignote e proprio per questo terribilmente affascinanti.
Ci sono anche alcuni momenti magici nel film, soprattutto la magnifica scena della giostra, in cui i ragazzi di Fiume Basso, affascinati dalla sensazione di volare e dalla splendida canzone di David Bowie 'Absolute beginner' che ascoltano nel frattempo, si sentono davvero bene per la prima volta nella vita e sognano per un po' il “mitico Occidente”. Aggiungeteci la produzione Cattleya-01, che qualche garanzia la dà, la musica di prim'ordine di Mauro Pagani (vi segnaliamo la struggente 'Mama Siberia'), la sceneggiatura che non poteva essere che del duo Rulli-Petraglia, la maestria registica di Salvatores e capirete come il film possa piacere davvero a molti e anche incantare, per certi versi.
Ecco, già sentiamo le obiezioni: lo scrittore Lilin è forse un fanfarone, un furbastro che ha inventato a fini commerciali tutta la storia degli Urka e dei Siberiani deportati in Transnistria, la sua è una Russia da fast-food e per giunta Salvatores si è preso molte libertà rispetto al romanzo, facendone un po', semmai, “un romanzone”, non senza luoghi comuni e toni melodrammatici, si è occupato con ingenuità di luoghi e popoli di cui non sa nulla.
Ebbene, per una volta ci pare il caso di lasciar perdere tutto questo e di lasciarsi invece prendere dalla forza visiva del film, dalla sapienza con cui è costruito: la vicenda non sarà vera, i criminali onesti non esisteranno, il vecchio Kuzya sarà opera di (interessata) fantasia. Ma perché negarsi per forza il fascino di un film molto ben fatto e che prende e affascina il pubblico dall'inizio alla fine?
Facciamo così: se il film, così ben girato e realizzato, sarà servito a fare interessare per una volta almeno una parte degli italiani a Siberia e Transnistria, Russia e ex Unione Sovietica in genere, a luoghi, territori e popolazioni del tutto diverse dal consueto, avrà già raggiunto un bell'obiettivo. A voi sembra così poco?