Lo dicevamo nelle settimane scorse a proposito del film ‘tutto pugliese’ ‘Io che amo solo te’: i film di ‘intrattenimento medio’ con destinazione televisiva già in partenza (oltre che nella produzione) sono uno dei problemi della nostra cinematografia, perché spesso ‘virano verso il basso’ quanto a sceneggiature e regia e non è evidentemente questa la strada per risollevare le sorti del nostro mondo della celluloide. In questo campo l’abbinata Rai Cinema (più 01 per la distribuzione) e IIF di Lucisano è ormai un classico e in questo caso c’è anzi la regia di Massimiliano Bruno, che con la IIF lavora ormai un po’ in serie (basterà ricordare ‘Nessuno mi può giudicare’, commedia con pretese, che restano tali, di satira pungente ancora con la Cortellesi per capire il genere).
Qui la Cortellesi è di nuovo protagonista assoluta e non poteva essere altrimenti, visto che il riferimento (anche nel titolo) è il suo spettacolo teatrale di successo (produzione Ballandi) in difesa delle donne, in cui interpretava tutti i personaggi, e naturalmente la sua bravura e la sua maestria non sono in discussione. Il guaio è invece che per creare un film di ‘intrattenimento televisivo’ (nel senso di cui si diceva prima) è stata scritta una sceneggiatura che crea tutta una serie di personaggi uno meno convincente dell’altro, in un’atmosfera paesana (dovremmo essere, a quanto si capisce, nientemeno che ad Anguillara Sabazia, a nord di Roma, sul lago di Bracciano) che è tanto inconsueta quanto ben poco reale.
Il personaggio affidato a Fabrizio Bentivoglio, un poliziotto con una pesante storia alle spalle e così naif da venire a farsi trovare dalla mamma e da non distinguere un trans da una donna, sembra proprio strappato agli anni ’50-‘60. Il resto si regge sulle spalle di Alessandro Gassmann, bravissimo anche lui nel personaggio che gli è ormai consueto: un piccolo gaglioffo senza arte né parte che non lavora neppure e però alla fine si rivela simpatico, buono e affezionato alla moglie e a quel figlio che alla fine i due hanno così tanto voluto, anche per non essere da meno di altre famiglie del paese, prolifiche e con tanto di gemelli.
Che sopravviva - e dove e come - un’Italia così non sarebbe neanche un grosso problema, visto che il film sembra voler divertire un po’ “alla paesana”, appunto, senza neppure tante pretese.
Il guaio veramente grosso è però che a questa prima fase del film se ne aggiunge una seconda con pretese di forte critica sociale e di drammaticità assoluta, quella che prevede anche scene melodrammatiche e di difesa - si diceva - del sacrosanto diritto delle donne ad una maternità che si concili con il lavoro. Qui il film ci dà dentro con convinzione e si arriva alla scena culminante con pistola, sequestri di persona, sparatoria e quant’altro, per chiudere con lo stacco sul bambino che alla fine è nato nonostante tutto e - meraviglia delle meraviglie - gioca a pallone, mentre il papà si è ravveduto e lavora, nientemeno.
Basta accontentarsi di queste facili emozioni, perché la presunta denuncia sul precariato e i licenziamenti delle donne incinte resta tale e stride poi mica poco, in un film che resta un prodotto di intrattenimento e non certo un’opera d’autore. Spreco di talenti, insomma, perché gli attori, a partire da Paola Cortellesi, sono appunto molto bravi (merita una citazione anche Stefano Fresi) e meritavano sicuramente di meglio.
Il livello invece è quello che è e per capirlo ecco altre due ‘perle’: nell’azienda della protagonista ci sono due sorveglianti all’ingresso ma uno dorme sempre senza che nessuno si preoccupi di svegliarlo (ma per favore…), mentre nel paesino naif di Anguillara non può mancare la Radio religiosa che si sente dovunque e si inserisce a forza con Messe e Rosari in ogni stanza ma soprattutto in bagno.
Un riferimento alle mega-antenne di Radio Vaticana che c’erano - eccome - nel Lazio o invece una critica alla troppo ‘invadente’ Radio Maria? Chissà, francamente il quiz proprio non ci appassiona.