In occasione degli Oscar vi ripresentiamo la nostra recensione dell’altro film che, con ‘Birdman”, dovrebbe essere il grande protagonista della ‘notte delle stelle’ di Hollywood.

La scena-chiave, anche per evidenziare qualche difetto (se proprio si vuol guardare il pelo nell'uovo), è quella dell'inseguimento in alta montagna: qui davvero siamo alla pura invenzione visiva, perché nel darsi la caccia in mezzo alla neve i nostri protagonisti finiscono per cimentarsi, ad un ritmo forsennato, nelle più varie specialità sportive invernali, passando dalla discesa libera (sci) allo slalom, per poi arrivare, fra le altre cose, al bob e infine all'inevitabile salto con gli sci.
La scena è girata con grande classe, come tutto il resto del film, ma forse (sempre volendo fare i pignoli) eccede un po' in 'voglia di strafare', fino ad assumere quasi i toni della farsa. E questo è un pochino improprio in un film che si rifà semmai, prima di tutto sul piano del delizioso linguaggio usato, alla sophisticated comedy di autori come Ernst Lubitsch e poi anche di Billy Wilder. Sì, perché anche se tutta l'atmosfera, l'ambientazione, il quadro culturale e quello storico sono tipicamente mitteleuropei, l'autore di 'Grand Budapest Hotel' è invece un americano, l'ormai noto Wes Anderson, che ha realizzato tutta una serie di opere di diverso genere sul versante del cinema indipendente 'made in USA'.
Questo film non fa eccezione, tanto che è prodotto dalla Fox Searchlight Pictures (un ramo della Fox di Murdoch che si dedica alle opere d'autore indipendenti da Hollywood), anche se qui, più di altre volte, grandi davvero sono le ambizioni, l'impegno, la qualità, la voglia (appunto) di realizzare qualcosa di memorabile e di stupire. Il successo dell'opera è stato infatti grande, ai Festival (Berlino) e poi anche al botteghino di diversi Paesi, con l'Italia che stavolta, lodevolmente, non ha fa eccezione.
Che il film sia piaciuto anche nel nostro Paese è un bel segno, perché non sempre al pubblico di casa nostra piace qualcosa del genere, estraneo sia alla produzione tipicamente italiana (anche bella, ma che non supera i confini, di norma) che a quella hollywoodiana dominante. Fa piacere, insomma, che riscuota consensi un film che parla di uno stato europeo immaginario situato però chiaramente in uno spazio centro-orientale del continente, dove infatti si parla anche francese, i cartelli sono in inglese, molto si ispira all'area germanica, l'hotel protagonista è intitolato alla capitale ungherese e infine molta della colonna musicale (e non solo) ci ricorda da vicino la Russia. Come dire. siamo un Paese mediterraneo, sì, ma non sempre e comunque, per fortuna.
Che cosa narra dunque 'Grand Budapest Hotel'? Con un'eleganza e accuratezza davvero rari, prova a raccontare su vari piani temporali (che - finezza nella finezza - comportano anche formati e tecniche cinematografiche diverse fra loro; alla fine la vicenda attraversa quasi un secolo) la storia appunto di un meraviglioso albergo di gran classe in montagna, nell'immaginaria repubblica della Zubrowka, e dei suoi impeccabili concierge, che a rotazione ne diventano anche proprietari, delle sue meraviglie, dei suoi fasti, della sua successiva decadenza (quando diventa un avamposto militare), per poi divenire un luogo per anziani nostalgici e solitari, dediti solo alla propria memoria, e finire (non viene detto ma si capisce) per chiudere i battenti (sarà per questo che il film si apre con un cimitero?).
Il 'sodo' è invece la vicenda evocata e raccontata, svoltasi negli anni'30-'40, del mitico concierge Gustave (uno strepitoso Ralph Finnies) che assiste le sue clienti dall'età veneranda da ogni punto di vista (compreso quello sessuale), fino a che non si trova alle prese con la morte preannunciata di una di loro (in segreto, pare di capire, proprietaria dell'hotel stesso), per mano di un assassino ignoto. C'è di mezzo un preziosissimo quadro che la vegliarda gli lascia in eredità, con conseguente ribellione dei parenti, che convincono la polizia che l'assassino sia proprio il concierge e infatti riescono a farlo incarcerare.
Ad aiutare Gustave c'è il suo 'garzoncello' e futuro concierge Zero Moustafa, un ragazzo di incerta origine e sostanzialmente apolide, il cui stesso aspetto fisico porta infatti a pensare a una miscela di razze, Paesi e aree geografiche. E qui c'è l'aspetto - diciamo così - un po' 'politico' del film, che, senza perdere mai la straordinaria verve visiva e la vivacia narrativa, porta a una ribellione contro le divise, gli eserciti, le polizie, le frontiere, il razzismo e la guerra, che infatti interrompe malamente i fasti del 'Grand Budapest Hotel', come abbiamo visto. L'autorità costituita, insomma, non ci fa una gran figura e la stessa evasione di Gustave (altro 'classico' del cinema qui trattato in modo ironico e un po' grottesco) diventa anche una opportuna ribellione all'ingiustizia e all'abuso. Il riferimento culturale è lo scrittore austriaco naturalizzato inglese Stefan Zweig, le cui opere furono infatti messe al bando dai nazisti.
Nulla di davvero impegnativo, però, perché tutto il film è una sarabanda continua di invenzioni narrative, di effetti e di trovate visive, una miscellanea esplosiva che contagia tutti, dal magnifico cast al personale tecnico, impegnato nel rendere tutto al meglio, allo stesso pubblico, che non può non farsi prendere la mano con grande facilità.
Qualche difetto, tuttavia, non manca, perché il tutto può anche apparire ad alcuni un po' 'lezioso', alla fine persino un po' 'gratuito', nella sua assoluta eleganza e pignoleria, perché il succedersi di fatti, situazioni, ambientazioni e costruzione visiva impeccabile può sembrare persino eccessivo, qualche situazione troppo 'caricata' e poi diciamo che non sempre il sovrapporsi dei vari piani temporali funziona alla perfezione e il prologo e il finale sono sicuramente troppo 'tirati via'.
Però tutto questo è davvero, a sua volta, una 'pignoleria critica' un po' gratuita, che non inficia in alcun modo la 'grandiosità' del film, che non si nega nulla, per esempio facendo vedere a ogni piè sospinto i dolcetti della marca Mendl's, fino a farne quasi dei co-protagonisti del film, curando ogni dettaglio, realizzando un'opera che è al contempo commedia sofisticata (prima di tutto, come dicevamo), giallo, film d'azione, storia di pura fantasia, cartone animato, persino, letteratura e racconto nel racconto, opera ispirata alla storia e all'impegno a favore della pace e della armoniosa convivenza di razze e culture diverse.
Che dire del cast? Finney (che qualcuno ricorderà ne 'Il paziente inglese') è superlativo, il garzoncello, l'esordiente Tony Revolori, molto ben 'intonato', ottime tutte le scelte di contorno, con alcune 'perle' (anche stavolta) di grande impatto, come Harvey Keitel, Léa Seydoux (proprio lei) e Tilda Swinton.
Anche qui, come si vede, ci sono attori di varie nazionalità, ottimamente amalgamati da un regista americano come Anderson. Insomma, lasciatevi prendere, i servizi del Grand Hotel non vi deluderanno.