Un Virzì diverso dai film precedenti ma che, avvicinandosi al Nord Italia e al mondo ‘produttivo brianzolo’, ha migliorato ancora in termini di lucidità di analisi e maturità. E infatti è diverso anche lo stile cinematografico, meno legato agli stereotipi della commedia. Il risultato è ottimo…

«No, la polemica sulla Brianza cattiva non ce la siamo inventati noi come strategia di lancio. Ma non ci lamentiamo: ha creato curiosità».
Le parole sono di Fabrizio Donvito, uno dei tre soci della Indiana Production, la società milanese che, come informa l'Espresso', «ha messo il 60 per cento dello sforzo finanziario» per produrre l'ultimo film di Paolo Virzì, 'Il capitale umano', con «partner Rai Cinema, Manny Films (Francia) e Motorino Amaranto», la nota società di Virzì stesso. Il film gode di una distribuzione internazionale 'importante' e al botteghino pare stia andando benissimo. Gli altri due soci di Donvito nella Indiana Production sono Marco Cohen e Benedetto Habib, che qualcuno ricorderà per My-Tv. Gli altri due provengono invece dalla Colorado Film, che non è ovviamente solo quella dell'omonimo programma comico di Italia 1 ma anche quella di Gabriele Salvatores e dei suoi film.
Virzì stavolta si avvicina dunque, in ogni senso (per produzione cinematografica e anche per ambientazione del film), a quel mondo del Nord Italia che finora gli era stato abbastanza estraneo: non c'è più l'amata Livorno nè la Toscana, non c'è più quel mondo romano (o dei dintorni) che comunque connota tuttora buona parte del nostro cinema. Non poteva essere simile nemmeno lo stile, quello finora adottato da Virzì, che pure ci piaceva molto e che si rifà al filone migliore della classica commedia all'italiana (Virzì ci pare anzi l'erede migliore di personaggi come Monicelli e altri autori di questo filone).
Ecco dunque che invece della provincia toscana o dei dintorni della Capitale ci troviamo in una provincia lombarda, nel Nord della regione che non è detto sia la Brianza (volendo identificare in una forma precisa questo territorio), tanto che una delle poche citazioni riconoscibili è il quotidiano 'La Prealpina', che è notoriamente quello di Varese. Ma cercare riferimenti precisi quanto a località è ozioso: diciamo che alcuni abitanti della Brianza si sono identificati in una certa situazione economica e sociale descritta nel film e nella 'tipologia umana' illustrata.
Il discorso che fa Virzì è in realtà sì ben applicabile a quest'area specifica del Nord Italia ma aspira ad interessare anche gli abitanti dell'Occidente avanzato (diciamo così) in generale, tanto che il soggetto è tratto da un thriller di Stephen Amidon, ambientato nientemeno che nel Connecticut americano. È stata l'abilità di Virzì stesso e dei suoi sceneggiatori Francesco Piccolo e Francesco Bruni ad adattare nel modo migliore la vicenda narrata in questa fetta di Lombardia.
Si diceva però che se cambia completamente l'ambientazione, può e forse deve cambiare anche lo stile e infatti Virzì non si risparmia neppure qui: dalla commedia all'italiana si passa a una via di mezzo fra il noir e il thriller, con qualche venatura proprio gialla, non senza qualche punta di sarcasmo nella descrizione dei personaggi ma non, appunto, con il tono della commedia propriamente detta. A corredo della nuova scelta stilistica, Virzì ne fa un'altra, che è quella di mostrare a più riprese le stesse vicende, fino al chiarimento finale dei fatti, dai diversi punti di vista dei vari personaggi. La sceneggiatura anche qui è costruita con grande abilità e la resa di tutta l'opera in termini filmici è eccellente.
Ma allora vediamo qual è la storia. È quella dei ricchi e dei poveri, fondamentalmente, o meglio dei ricchi, degli arricchiti e degli aspiranti ricchi, in un'area economicamente molto avanzata del Nord Italia, come dicevamo, con tutte le miserie umane che la situazione produce. Ecco che il ricco Fabrizio Gifuni, che possiede un villone con campi da tennis e piscina, tiene riunioni internazionali a fiumi ed è sempre in giro per il mondo seguendo in modo molto relativo la vita della sua famiglia, si ritrova un po' tra i piedi l'aspirante ricco Fabrizio Bentivoglio (davvero ammirevole la sua interpretazione), a cui capita di giocare a tennis con lui e la cui massima spirazione è entrare nel fondo speculativo che Gifuni ha costruito con altri ricconi e che promette utili da capogiro giocando sul 'peggio' (l'allusione sembra essere agli hedge fund). Per riuscire a raggiungere la mitica altissima quota di adesione prevista Bentivoglio si indebita da morire e infatti rischia di brutto il fallimento personale e familiare quando l'attività speculativa prende una brutta piega.
Ma anche Gifuni non è messo molto meglio. La perdita sul fondo rischia di essere pesante anche per lui, che ha investito tanto, e le conseguenze possono essere 'brutali'. Meglio vendere tutto il vendibile, allora, e aspettare tempi migliori, che infatti alla fine arrivano, con la ripresa finale 'alla grande' di feste e bagordi in villa.
Dietro queste due figure ci sono, abilmente descritte dal film, la rispettive famiglie. La moglie di Bentivoglio (Valeria Golino) è una psicologa che si è adattata al meglio ad avere accanto anche la figlia del primo matrimonio di lui, ma vuole e alla fine ottiene anche un figlio suo dal marito.
La moglie di Gifuni, cui Valeria Bruni Tedeschi presta una 'sofferta' ma assolutamente valida interpretazione, è invece la classica signora nullafacente dell'alta società: solo a un certo punto del suo consueto tour di shopping in centro scopre un teatro in disuso e rievoca in questo modo la sua antica vena di interprete teatrale e di amante del teatro. Presta così le sue finanze all'operazione (il Teatro Politeama coincide con una specifica situazione di Como, che ha provocato altre polemiche, ma lasciamo stare) e il solo fatto di fare finalmente 'qualcosa' (che le piace, oltretutto) fa vacillare il suo ruolo: infatti riscopre i brividi dell'amore e del sesso con il teatrante Luigi Lo Cascio (qui ha i toni della commedia all'italiana invece, stavolta, la riunione per preparare il cartellone del risorto teatro).
Tutto naufraga però quando Gifuni, alle prese con l'esigenza di liquidità, rivende tutto, come detto. Allo stesso tempo, Valeria Bruni Tedeschi riprende a fatica l'autocontrollo e ritrova anche il suo ruolo di 'moglie di buona famiglia'. L'elemento curioso qui è che sembra esserci un'allusione più o meno esplicita a Veronica Lario, su cui non vogliamo insistere, lasciando il tutto alla fantasia degli spettatori.
Ci sono poi i figli e qui si apre un ulteriore capitolo (il film è diviso in capitoli a seconda appunto dei punti di vista sulle vicende) a parte, con bravi interpreti giovani molto ben scelti da Virzì. La figlia di Bentivoglio, una brava ragazza tutto sommato, è stata fidanzata del figlio dell'abbiente Gifuni. Il rapporto però è ormai stanco e logoro (lui è troppo ricco, sciocco e in preda all'alcool per interessarla davvero), tanto che la ragazza si innamora, sul serio stavolta, di uno 'spiantato', un ragazzo sfortunato che vive con uno zio di dubbia qualità. Lui è talmente sfigato da incappare in una tremenda vicenda di omicidio colposo con il Suv dell'ex fidanzato di lei, situazione che costa la vita a un cameriere della zona che rientrava a casa in bicicletta di notte. Il poliziotto Bebo Storti non ci capisce molto ma alla fine la vicenda si chiarisce, i due confessano e la pena in carcere di lui non impedirà una futura ripresa dell'amore fra i due adolescenti. I due ragazzi e la loro autenticità sono infatti la sola speranza di un film che ne lascia ben poche allo spettatore.
L'ambiente sociale è tale - suggerisce Virzì - che il denaro è l'unico elemento che conta e tutti ne sono preda fino al midollo. Il malvagio Gifuni in primis, ma Bentivoglio quasi più di lui, perché la sua unica spirazione è arrivare al suo stesso livello. Ovviamente le famiglie sono sfasciate, i sentimenti inesistenti e i figli (che pure appunto sono l'unico elemento vagamente positivo del quadro) lasciati allo sbando. La cultura, poi, non viene neppure considerata, perché “non serve a nulla”.
Dopo la crisi, i tempi d'oro (solo per i ricchi) potrebbero però tornare - è la sentenza finale. Perché, si rende conto Valeria Bruni Tedeschi rivolgendosi al marito, “voi avete scommesso contro l'Italia e avete vinto”. Ma lui, opportunamente, le risponde: “Abbiamo vinto, mia cara, perché ci sei dentro in pieno anche tu”.