Un film ambizioso, ricercatissimo, ricco, lungo e pieno di magnifiche inquadrature, che ha però il difetto di non arrivare facilmente al pubblico in tutta la sua suggestione. L’estetismo di Sorrentino gli fa fare grandi cose ma è anche un po’ un suo limite.

Si capisce subito, vedendo questo eccellente film di Paolo Sorrentino che siamo alle prese con qualcosa di 'superiore' rispetto alla produzione corrente, di fronte a un grande autore, insomma, di quelli che fa davvero piacere poter presentare all'estero e non importa più di tanto, in fondo, che a Cannes non sia arrivato purtroppo nessun premio, alla fine. Non è ovviamente una scoperta di oggi: Sorrentino aveva già dimostrato le sue eccellenti qualità soprattutto con il famoso 'Il divo', dove l'esame della figura di Andreotti nella storia italiana era stato condotto con maestria, capacità di profonda analisi e satira, senza rinunciare a uno stile particolarissimo e di incredibile eleganza. C'era stata poi la variazione all'estero con 'This Must Be The Place' e molto prima una specie di 'prova generale' con 'Le conseguenze dell'amore', dove già campeggiava Toni Servillo.
Forse per fare la sua definitiva 'prova d'esame' (da grande autore del cinema italiano) Sorrentino si cimenta stavolta con un tema tipico della nostra celluloide (si dirà ancora così?): Roma, l'Urbe, la Capitale, la Città Eterna. Un tema che soprattutto Fellini (ma anche Scola, in particolare con 'La terrazza') aveva affrontato a più riprese, con 'La dolce vita', in parte '8 e ½' e poi con 'Roma', appunto, spietata requisitoria sui vizi e il grottesco della città e della sua storia.
Sono fiorite le interpretazioni su quale sia il riferimento principale di Sorrentino e molti hanno scelto 'La dolce vita', anche se le cose rispetto ad allora sembrano in effetti molto cambiate. Sorrentino, in realtà, sembra scegliere la chiave di una Roma vista da un napoletano come lui approdato da anni nella Capitale: il protagonista del film è infatti Jep Gambardella, che da decenni vive qui ed è diventato il protagonista delle grandi feste serali della Capitale, quelle scatenate in cui un jet set triste, di scarsa cultura e sostanzialmente nullafacente, cerca di dimenticare le sue miserie fra grandi balli, cibo abbondante, pettegolezzi di bassa lega inseriti in conversazioni stanche e inutili.
Jep (un Toni Servilo come sempre unico per qualità di interpretazione e capacità di metamorfosi) arriva proprio da Napoli e là - si capisce - ha lasciato ogni originale qualità autentica: passa di festa in festa e quando poteva di letto in letto ma non ha più fatto il suo lavoro, quello di scrittore: ha scritto in realtà un solo libro in gioventù e poi ha lasciato perdere, si limita a vegetare scrivendo articoli per una rivista di non molte pretese diretta da una nana, che racconta di personaggi strani e curiosi, non sempre stimolanti. Jep ha rinunciato agli affetti autentici, al vero amore di gioventù che il lutto del marito (lei ora è morta da poco e lui è disperato) gli ricorda improvvisamente e ha scelto invece il fatuo mondo delle feste, di cui vuol essere il re, anche se è ormai fuori età; ma il malinconico 65esimo compleanno lo trova triste e un po' disperato, ormai in dubbio sul senso della sua esistenza, sul perché non abbia più scritto libri, su cosa abbia perso in una vita in cui ha preferito aderire a un mondo vuoto e fatuo abbandonando le qualità e le potenzialità della sua gioventù.
Questo per il nostro protagonista, una specie di filo conduttore di un film complesso e pieno di cose e persone di ogni tipo, ma la vera protagonista naturalmente è in realtà la città, nella sua straordinaria bellezza di giorno e nella disperata frenesia notturna sulle sue grandi terrazze. Lo spettacolo del film è di quelli straordinari, allora, e Sorrentino lo inaugura con il colpo di cannone del Gianicolo di mezzogiorno (e con un turista giapponese che si sente improvvisamente male), mentre un grande urlo dà il via alle feste notturne.
Tutta la pellicola è poi un susseguirsi di fatti, situazioni, aneddoti, soprattutto di personaggi che sfilano sul meraviglioso palcoscenico di Roma: non c'è una narrazione, non c'è un ordine preciso, c'è un accumulo che vuole dare un'idea di cosa sia oggi questa città, di come siano (diventati) i suoi abitanti, ma si prova anche (è l'impressione) a cercare proprio qui un senso alla vita, all'arte, alla bellezza (come da titolo), forse al cinema stesso. Lo stile è magnifico e ogni inquadratura è studiatissima, letteralmente ogni inquadratura (il volo degli uccelli verso la fine del film è pura arte figurativa), mai banale ma tesa a dare un'interpretazione di quel che si vede, dei personaggi che compaiono, dei fatti e della situazioni.
Una cosa da grande maestro, sicuramente, ma questo ci pare anche il limite di Sorrentino: un film di molto più di due ore, così ricco e studiato, che vuol dire tutto, proprio tutto, senza trascurare nulla, all'insegna del'estetismo e della ricerca della perfezione, dell'arte sublime, insomma, non arriva al pubblico con facilità.
Gioverebbe un po' di 'scioltezza' in più, magari la rinuncia a qualche preziosismo in favore di un linguaggio che abbia una presa maggiore negli spettatori.
Dopo aver visto tutto, ma proprio tutto, più che un senso di appagamento (casomai c'è sazietà) resta nel pubblico la voglia di rivedere l'opera, per capire cosa non si è colto ad una prima visione, per apprezzare l'una o l'altra inquadratura in tutta la sua ricercatezza. Tanto più che Sorrentino mescola i toni: un po' come nel 'Divo' c'è sarcasmo, un po' di satira, ma anche metafore, accurate descrizioni, apologhi, mostruosità vere e inventate. Ne è l'emblema un'incredibile Serena Grandi, dalle forme ormai 'fuori controllo', che campeggia alle feste con gli spietati commenti fuori campo che suonano più o meno così: “Un tempo era un fiore e ora invece…'.
E Serena vorrà poi simboleggiare una Roma ormai mostruosa? O la simboleggerà meglio una brava (va detto) e autentica Sabrina Ferilli, col suo corpo ancora relativamente apprezzabile ma trattato in modo ridicolo e 'esagerato', tanto che lei fa ancora la spogliarellista ben oltre i 40?
C'è anche un po' di nudo in 'La grande bellezza', un nudo ridicolo e disperato, anche qui, perchè anche l'erotismo ormai, nel grande mare della Capitale, sembra privo di senso. Ma un po' tutto è privo di senso a Roma e tutto il film sembra anzi una disperata ricerca di una vita 'che valga la pena', da spendere magari nell'arte, nella letteratura (si apre con Celine, tanto per gradire, e piovono citazioni di Proust e Flaubert qua e là), in una religione che sia autentica (l'aspetto religioso è ampiamente trattato in un film su Roma, naturalmente), in qualcosa di vero e sincero. Cercano un senso alla vita quasi tutti personaggi della pellicola: un Carlo Verdone che sorprende e un po' incanta lo cerca nel teatro ma quando realizza la sua chimera di una vita se ne torna subito al paesello natio vicino Roma, quasi non avesse più niente da chiedere all'Urbe.
Potremmo parlare per molte altre pagine di questo ricchissimo film, di cui comunque l'Italia deve andare fiera, ma vale la pena più che altro di dare un'idea delle mille cose che contiene: un'improvvisa apparizione di Fanny Ardant, per esempio (forse perchè è una coproduzione Italia-Francia) nel ruolo di se stessa, una diva del cinema, appunto, di Antonello Venditti, seduto a un tavolo a guardare, di Lillo, di Isabella Ferrari, del cardinale gastronomo del formidabile Roberto Herlitzka. E insieme di tutto e di più: fra i tanti, Carlo Buccirosso, Pamela Villoresi, Iaia Forte, Galatea Ranzi, Franco Graziosi, Giorgio Pasotti, Massimo Popolizio, Giulio Brogi, persino.
Di tutto anche nelle musiche: una disco-music frenetica, irresistibile, che fa ballare chiunque, cori e musica sacra a profusione, sound latino, canzonette, anche, e musica leggera e melodica. Anche qui un accumulo di cose di ogni genere, sempre riunite con la cura che pretende un'estetica frenetica e mai doma.
Un po' di comunicativa in più e Sorrentino sarebbe perfetto. Ma anche Fellini, appunto, non le indovinava tutte e non sempre era comprensibile e apprezzabile. Ma era un grande maestro e Sorrentino sembra ormai sul punto di esserlo, a sua volta.