Recensione: ‘La grande scommessa’

 

È uscito in Italia al momento giusto ‘La grande scommessa’, un film di classe nel migliore stile hollywoodiano.

Si sa che l’America, al contrario del nostro Paese, ama riflettere al cinema su tutti i propri fatti e fattacci e che in quel Paese davvero tutto fa spettacolo. Non poteva quindi mancare un’ulteriore riflessione su quei clamorosi avvenimenti del settembre 2008, con il fallimento della Lehman Brothers, che hanno dato origine alla crisi economica mondiale, quella che non abbiamo ancora di fatto superato (almeno in Europa). Del resto la ‘teatralità’ e il simbolismo della scena dei dipendenti della società finanziaria americana che uscivano dagli uffici, in quel fatidico giorno, con i contenuti delle proprie scrivanie nei cartoni, faceva già prefigurare una trasposizione in termini cinematografici e infatti i film su quegli eventi non sono mancati.

Un grande spettacolo e un’acuta riflessione sui fatti (visti dalla parte delle grandi istituzioni politico-finanziarie, in particolare del segretario del Tesoro Hank Paulson) si erano già visti nell’eccellente ‘Too Big to Fail’, che aveva raccontato la vicenda senza nascondere nulla e anzi dando conto delle responsabilità e delle ‘leggerezze’ di tutto il mondo politico-economico finanziario d’Oltreoceano, ma aveva anche trasformato il tutto in formidabile thriller, costruito sul filo della suspence e dei minuti contati per agire.

Su uno straordinario piano artistico che sfociava nel grottesco e nell’esasperazione pura, con un magnifico effetto dal punto di vista cinematografico, aveva invece puntato Martin Scorsese con ‘The Wolf of Wall Street’, che faceva dei nostri finanzieri degli straordinari eroi negativi, simboli del potere assoluto che la ricerca del denaro ad ogni costo ha su una bella fetta della società americana, fino a livelli disumani.

‘La grande scommessa’ racconta tutto da un terzo punto di vista, complementare in fondo agli altri. Basato - viene assicurato anche nei titoli - su storie vere, narra del grande gioco dei mutui ‘subprime’, quei crediti immobiliari concessi a chiunque e senza alcun criterio che sfociarono poi nel 2008 nel fallimento Lehman, nella grande crisi finanziaria mondiale, poi diventata economica tout court. La grande ‘bolla’ scoppiata nell’occasione, con effetti micidiali sulla vita di tutti noi, non era però imprevedibile ma a chi sapeva vedere le cose nella loro effettiva realtà, l’esito appariva anzi predestinato.

Inutile sperare nelle istituzioni, nei grandi gruppi finanziari a ogni livello, nelle banche (che facevano in apparenza affari d’oro) e soprattutto nelle società di rating, che di fatto concedevano ‘voti generosi’ senza fare il loro mestiere, perché complici assoluti del grande gioco collettivo che nessuno voleva interrompere: soldi per tutti, case per tutti, un bengodi fantastico che naturalmente prima o poi doveva sfociare nella tragedia.

A intuire questo corso degli eventi - ci racconta il film - furono in America alcuni eccentrici e perspicaci personaggi, che proprio perché erano fuori dal conformismo imperante nel mondo finanziario, analizzarono per tempo la situazione, capendo che, anche se non lo diceva nessuno e tutti remavano in senso opposto, il grande crollo era solo questione di tempo. Il film racconta la loro spericolate e eccentriche vite negli anni immediatamente precedenti il fatidico 2008, il loro tentativo di raccontare come stavano davvero le cose, le loro parallele ‘scommesse’ sul fallimento e il crollo della bolla finanziaria, perché - si sa - qualcuno che ci (stra)guadagna c’è sempre, anche in questi casi.

Ottime le interpretazioni, eccellente la costruzione delle singole personalità di questi ‘profeti di sventura’, che però insistevano, solitari e inascoltati, nelle loro tesi anti-sistema, fra voglia di

smentire tutto il resto del mondo, effettivo anticonformismo, spinta a fare soldi alla faccia di tutti gli altri.

Lo spettacolo è grande nel film di Adam MacKay (ma dietro c’è Brad Pitt, che è qui produttore e attore), che riesce persino a essere assolutamente ‘tecnico’ nelle spiegazioni, anche quelle adatte a veri specialisti di economia e finanza, e su questo si permette qualche variazione singolare e divertente (affidando le dissertazioni più complesse a personaggi come Margot Robbie o Selena Gomez). Adeguati e ottimi gli attori protagonisti.

La metafora della banca deserta perché abbandonata ormai da tutti, dove si aggira solo, con abbigliamento assolutamente ‘fuori luogo’, l’eccentrico ‘scommettitore tragico’ Christian Bale, vale da solo il prezzo del biglietto. Un film dove le cose sono chiamate con il loro nome, che non nasconde nulla e chiama in causa tutti. Perché - è la morale finale - alla fine per queste cose pagano poco e in pochi e tutti i rischi di un nuovo ‘fallimento mondiale’ sono di nuovo dietro l’angolo.

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