Davide Ferrario trova alcuni personaggi ‘stralunati’ nella sua Torino e li rende protagonisti di una delicata ‘storia a tre’ che è anche un elegantissimo ‘esercizio di stile’. Però tutto è molto fragile e al pubblico si trasmette ben poco.

Diciamolo subito: 'Dopo mezzanotte' era proprio un'altra cosa, perché lì la consueta città di Torino, una storia delicata e poetica, l'amore smisurato per il cinema e anche la scelta di personaggi fuori dal comune e un po' 'al limite' erano riusciti a creare un mix vincente, che qui proprio non si ripete.
Davide Ferrario, peraltro, è un autore delicato e elegante, oltre che un cinefilo di vaglia, sa usare molto bene la macchina da presa e ha un suo linguaggio visivo molto gradevole, che si segue sul grande schermo con effettivo piacere; segue poi un suo 'codice', che nei suoi film migliori (ricordiamo fra questi 'Tutti giù per terra' o 'Guardami!') ha saputo essere al contempo efficace e di discreta presa sul pubblico.
Purtroppo in 'La luna su Torino' il miracolo non avviene e il film va per conto suo, senza l'effettiva capacità né di comunicare più di tanto emozioni, né di arrivare al pubblico con un linguaggio che lo conquisti. Sembra onestamente che Ferrario abbia fatto questo film più per sé e per il gruppetto più stretto dei suoi 'fans' che per gli spettatori. Si va alla ricerca dell'inquadratura elegante, raffinata, dell'originalità a ogni costo (si vede una Torino assolutamente inedita, tanto per dire), di personaggi tanto strani e particolari quanto improbabili. Tutto appare troppo fragile per piacere, come appunto se l'opera fosse un 'esercizio di stile', fin troppo elegante ma anche fine a se stesso. E così stavolta Ferrario comunica poco e quel poco è anche di dubbio interesse.
Dopo un lungo prologo (anche qui molto elegante ma troppo personale e 'astratto') sulla 'città del 45° parallelo' (Torino, appunto, come al solito) vengono gradatamente presentati i tre protagonisti di un apologo singolare e fuori dal comune ma anche abbastanza sterile, come si diceva: ecco allora convivere in una bella casa in decadenza della collina torinese Ugo, un uomo di mezza età che non ha mai lavorato in vita sua grazie a una bella eredità ricevuta dai genitori prematuramente scomparsi, Dario, un bel giovane che studia svogliatamente all'Università e intanto lavora in un bioparco alle prese con animali che sembrano molto più 'socievoli' degli umani, e Maria, una ragazza ancora giovane (ma non giovanissima), bella ma non bellissima, che lavora in un'agenzia di viaggi senza viaggiare e insegue i suoi sogni di modella e attrice, in attesa del vero grande amore.
Naturalmente fra i tre si sviluppano storie di amicizia, slanci di amore e sesso, incomprensioni, effettiva solidarietà a tre e insieme voglia di lasciarsi e problemi che derivano dalla convivenza forzata (la casa, ereditata anch'essa dal quarantenne Ugo, è un po' un rifugio per tutti e tre, che faticano a trovare una propria dimensione, anche economica, nella vita). Sono tutti in cerca di una vita migliore, naturalmente, e di qualcuno da amare sul serio, ma dei tre quello che non ha proprio speranze - e non le vuole neanche avere, però - è proprio Ugo, che ha rinunciato a qualsiasi ruolo nella vita e passa le giornate come capita, fra personaggi strani e improbabili come lui, sempre desiderando sessualmente e sterilmente, peraltro affatto in segreto, la convivente Maria.
Non vale la pena di raccontare molto di più, perché appunto non è la trama (peraltro assai esile, come si diceva) la forza del film, che cerca invece di cogliere un'atmosfera sempre più diffusa, quella del disagio di vivere nel mondo di oggi, si direbbe la famosa 'incapacità di essere normale', in una società che non ammette le 'eccezioni' e le 'stranezze', tanto che su Ugo incombono lo sfratto imminente e la fine della rendita ereditaria.
Il film prova a raccontare tutto ciò con poesia e amore per questi strani personaggi, va alla ricerca del riferimento colto (si cita tanto Leopardi ma la vera ispirazione sembra semmai Calvino) e del pezzo di cinema (quello muto in particolare ma anche i cartoni erotici giapponesi, di cui si sente solo l'imbarazzante sonoro) da inserire in modo funzionale nella storia.
Alcuni momenti sono anche belli e simpatici ma la resa complessiva lascia a desiderare, alla fine resta poco nella memoria. Il film non sa neanche quale registro usare nell'illustrare i personaggi (gli attori sono simpatici ma ben poco conosciuti, forse per rispettare la regola del low cost), prevale un tono simpatico e quasi giocoso che non punta però esplicitamente sul sarcastico e sul comico (anche se Walter Leonardi, che interpreta Ugo, ha una faccia che ricorda da vicino un brillante comico di qualche anno fa, vale a dire Enrico Beruschi).
In ogni caso, un film d'autore che se non è riuscito al meglio, per un appassionato di cinema è sempre piacevole da vedere ed è girato con maestria ed eleganza.