Pif ha realizzato un film che fa piazza pulita di molti preconcetti, soprattutto di quelli che lo reputavano come un ‘inesperto’ che non poteva ambire al cinema, al massimo alla Tv di Mtv. Invece lui sceglie il tono giusto per parlare di mafia e convince tutti.

Diciamolo subito: dimentichiamoci il Pif di 'Il testimone', la rubrica fra ironia e visione personalissima delle cose e delle persone che lui realizza per Mtv Italia e dove fa di tutto: cameraman, autore, intervistatore, testimone, appunto, montatore ecc. ecc. Quella trasmissione è una dimostrazione sì del suo talento multiforme e dell'originalità del suo modo di fare giornalismo ma dà l'idea di una cosa 'carina', simpatica, 'diversa' ma anche (a torto o a ragione) un po' 'povera', tecnicamente e stilisticamente.
Pif, che di cinema qualcosa sapeva, visto che aveva collaborato con Marco Tullio Giordana a 'I cento passi' (bell'esempio di cinema anti-mafia di qualche anno fa), non ha commesso l'errore di trasportare sul grande schermo il suo stile e la sua eclettica vitalità televisiva, facendo un film magari talentuoso ma 'piccolo', 'artigianale', realizzato da lui e qualche amico. Non ha neppure voluto fare, naturalmente, un film 'maestoso', da grande autore e dai grandi costi ma ha trovato una giusta via di mezzo. Mtv, per capirci, è citata nei titoli ma non è la produttrice del film, che è invece Rai Cinema, con la Wilside di Lorenzo Mieli; il necessario personale tecnico del cinema, poi, c'è tutto, qualche attore noto non manca (Cristiana Capotondi, Claudio Gioè e altri) e l'opera è un film a tutti gli effetti, non certo un 'super 8' (per usare il gergo di molti anni fa).
Di personale nel film di Pierfrancesco Diliberto c'è però tutto il resto, dalla sceneggiatura al montaggio, alla regia, all'interpretazione e prima di tutto la storia, che è manco a dirlo la sua, quella della sua vita. Quel che è più indovinato nel film - che naturalmente parla di mafia - è il tono: non c'è né la storia 'esemplare' dell'eroe antimafia né la visione cupa di Sciascia (per fare un nome che magari può essere esemplificativo), c'è la mafia vista da un bambino che cresce pian piano cominciando lentamente a capire le cose, poi da un ragazzo timido che soffre le solite pene d'amore fra un omicidio e l'altro di Cosa Nostra, infine da un giovane giornalista che matura pienamente 'sul campo' la sua avversione all''onorata società' ed è in grado di trasmetterla all'amata Flora, che alla fine è riuscito a sposare, e persino al figlio che nel frattempo gli è nato (il finale commovente con il tour familiare nei luoghi dei delitti di mafia palermitani).
Arturo (il bravissimo attore in erba Alex Bisconti) è Pif bambino, nato nel bel mezzo della Palermo più sanguinaria e testimone involontario di tante stragi che gli accadono intorno. 'Sono cose che derivano dal troppo amore per le femmine', cercano di convincerlo parenti e conoscenti, a scanso di guai, e allora lui è un po' terrorizzato dall'attrazione che sente per Flora (sarà mica pericoloso, mica mi spareranno?). Chinnici, Boris Giuliano, Salvo Lima, il generale Dalla Chiesa, al culmine dello strapotere criminale della mafia, infine, Falcone e Borsellino: di questi e altri delitti Arturo è appunto testimone diretto, ma sempre involontario, e le tante morti violente per mano mafiosa cominciano lentamente a fare maturare in lui il desiderio di una città diversa, di una società più libera e giusta, più trasparente e autentica, 'dove non si paghi il pizzo'.
Arturo è cresciuto con l'ossessione di Andreotti, il 'superpresidente' che a Palermo aveva tanti interessi e che mediante Salvo Lima era un vero potentato in città: si mascherava da Andreotti a Carnevale, voleva i suoi poster in camera, lo sentiva come una presenza amica e protettiva, che vegliava su di lui e sulla città. L'omicidio di Lima inizia ad aprirgli gli occhi sulla vera natura di quel potere, mentre continua il suo apprendistato da giornalista.
Non ci sono però certo 'prediche' in 'La mafia uccide solo d'estate', c'è invece molta commedia, una commedia simpatica e ironica, che fa da contrappunto alla bestialità dei mafiosi, a loro volta descritti come 'piccoli uomini' (Totò Riina non sa manovrare un condizionatore ma poi imparerà a usare il telecomando che farà saltare in aria Falcone). Si ride, insomma, nel film, ma mai in modo sguaiato, il tono giocoso serve a raccontare in maniera simpatica i fatti. E i fatti accadono tutti nell'amata Palermo, con il suo ambiente chiuso e impenetrabile ma anche il suo caldo, i suoi meravigliosi dolci, il suo mare, la sua gente spaventata ma anche 'pulita' e in fondo 'vittima', oppressa dalla mafia. Qui in quel ragazzo maturano i mille motivi per dire, alla fine, 'no'.
Pif mescola abilmente un po' tutto: documenti filmati e televisivi d'epoca, attori che interpretano personaggi storici di prim'ordine (Dalla Chiesa), ricordi personali e 'fatti d'infanzia', educazione e tenerezze sentimentali, formazione umana e politica,
la voglia di fare il giornalista e ci mostra anche le rampanti Tv locali dei decenni scorsi. Ci racconta con bravura e un po' di tenerezza la sua vita, la sua città, il mondo in cui è cresciuto e diventato adulto.
Pif, insomma, le indovina quasi tutte e non sorprende che il film sia ai primi posti per incassi. Sa parlare a tutti, sa piacere al pubblico ed è riuscito a fare un film bello e originale, che attacca la mafia in modo molto efficace prendendola in giro e ridicolizzandola. Che volete di più da lui?