I film di Michele Placido danno l’impressione di avere sempre qualcosa di ‘eccessivo’, si direbbe quasi che soffrano di un ‘pathos estremo’ dell’autore, che ama molto, passionale com’è, raccontare vicende caricandole di significati anche esagerati rispetto alle vicende narrate, che siano a sfondo criminale (‘Romanzo criminale’, ‘Vallanzasca’) che a carattere storico-politico (‘Il grande sogno’) oppure che abbiano, come in questo caso, un tono drammatico-sentimentale.
Il film comincia anche in modo simpatico, con la sempre bellissima Valeria Solarino impegnata a gestire in modo disinvolto un trio con marito e amante in cui non si capisce neppure più bene chi sia l’uno e l’altro, mentre la sorella Ambra Angiolini è impegnata nel ruolo di zia (delle figlie di Valeria), visto anche che figli con l’amato marito non ne ha ancora avuti; i due si danno da fare persino in occasioni pubbliche ma, insomma, questo pargolo non arriva.
Valeria invece figli appunto ne ha ma ha una singolare teoria sui partners con cui farli: “Per fare un bambino basta far l’amore con una persona una volta, poi ci si può anche dedicare a un altro”.
Comincia così, in maniera impertinente, ambientata (per le solite ragioni economico-produttive) in una solare Puglia, questo film, liberamente tratto da un poco conosciuto testo teatrale di Pirandello, ‘L’innesto’. Un inizio solare, si diceva, ma la tragedia incombe dietro l’angolo e si presenta sulla scena quando Ambra (Laura nel film) si inoltra incautamente in un luogo mal frequentato, dove viene violentata ma soprattutto sequestrata per ore, umiliata, percossa, seviziata.
Ovviamente dopo la violenza lei non è più la stessa di prima: è sempre chiusa in se stessa, incapace di fare qualsiasi scelta, trascura tutti, dal marito alla sorella, alla madre, non ascolta nessuno e si rifiuta persino per un po’ di sporgere una vera denuncia. Qui Placido si riabilita completamente tornando in scena da attore e si capisce subito come la classe da interprete (dà vita a un memorabile ‘tutore dell’ordine di provincia’) sia ben superiore rispetto a quella di regista.
Il dramma ancora non è finito, perché quella violenza ha una coda tremenda: Laura è incinta e il marito e anche gli altri sospettano che il figlio sia frutto della violenza subita. Insomma, la situazione diventa pesantissima, con le relative incomprensioni familiari (il marito la ama ma sembra non accettare quel figlio probabilmente non suo ma anzi frutto di un crimine), il dramma personale sull’opportunità di abortire, l’impossibilità di essere quella di prima e di ricostruire anzi un rapporto positivo con gli amati bambini e con le nipoti.
Fra un profluvio di drammi, pianti, abbracci e baci liberatori, liti e successivi pentimenti, la situazione sembra in conclusione volgere verso il lieto fine: l’aborto è scongiurato, il figlio in arrivo verrà amato da tutti, Laura tornerà a vivere dopo una così grande tragedia.
Lo spunto, come si vede, al di là delle tremende tematiche in gioco, è un po’ modesto per farne un film e infatti nonostante tutte le lungaggini melodrammatiche, il film stenta a coprire l’ora e mezza di durata. Il peso di portare avanti l’opera si concentra dunque per la gran parte su Ambra, che si dedica con grande enfasi a sua volta al personaggio, passando dalla solarità al ruolo di vittima sacrificale, da quello di incompresa a quello di perplessa, dall’ipertesa alla persona ‘rinata’. Troppo anche per lei, che si deve produrre in una gamma di emozioni, azioni, sentimenti che la costringono a un ‘palpito da attrice’ eccessivo, che non le è facile affrontare.
Accanto a lei, Raoul Bova, a sua volta costretto a sacrificare l’aspetto gradevole al melodramma e alla tragedia incombente, pur finendo per fare la ‘scelta giusta’. Tanti violini, musica classica, cori di voci bianche come piovesse, tanto pathos, impegno degli interpreti e del regista, tanto profluvio di sentimenti, ma alla fine il film non convince: si direbbe che davvero la vicenda non era adatta a diventare centrale in un lungometraggio, che richiede qualcosa di più e di meglio, anche e soprattutto a livello di sceneggiatura.