Recensione: ‘La sedia della felicità’

Il compianto Carlo Mazzacurati ci ha lasciato un piccolo ‘gioiellino finale’ e un film di ‘divertente intelligenza’: ‘La sedia della felicità’. Con un tono garbato e leggero, mostra un Veneto allo sbando, alla ricerca forsennata di un ‘tesoro purchessia’.

È sempre difficile commentare e giudicare un film postumo, perché il rimpianto e la commozione che la scomparsa di un regista provocano possono falsare in modo significativo la capacità di giudizio e l'oggettiva valutazione dell'opera realizzata. Una cautela che è giusto evidenziare prima di dire qualcosa su questo 'La sedia della felicità', film che esce quando ancora è vivo il rimpianto generale per la morte del suo regista, Carlo Mazzacurati, scomparso davvero prematuramente e stavolta dirlo non è proprio un luogo comune.

Detto questo, va precisato che questo film è proprio godibilissimo, divertente, indovinato come succede solo quando sul set - ed è evidente da quanto si è saputo e dalle dichiarazioni degli attori, ma anche da quel che si vede sullo schermo - si crea il clima 'giusto', quello che permette a tutti di divertirsi davvero e di partecipare al meglio alla creazione collettiva di un'opera 'che vale'.

“Lui sorrideva tanto sul set, lo provano le tante foto che abbiano realizzato durante la lavorazione” - ha detto per esempio Valerio Mastandrea, che per la prima volta lavorava con Mazzacurati e anche un'altra debuttante con questo regista, Isabella Ragonese, è rimasta fortemente colpita da quel clima 'giusto', da quella grande voglia di fare un bel film insieme, da quella intenzione di Mazzacurati di provare a fare una 'commedia' un po' folle, un po' surreale, un po' fiabesca ma con una punta sarcastica, che fosse però anche indicativa dei tempi che viviamo e soprattutto della vita di oggi in quel Veneto che anche stavolta fa da sfondo alla storia narrata e ai teneri personaggi che la interpretano.

Un ultimo avvertimento prima di 'passare al sodo': che stavolta ci fosse il 'clima migliore' per fare un film è provato anche dalle tante amichevoli partecipazioni che costellano tutta la pellicola e la rendono già solo per questo degna d'essere vista. Sono talmente tanti gli 'amici di Carlo', venuti quasi a salutarlo tutti insieme senza sapere che questa sarebbe stata la sua ultima opera, che si fa persino fatica a ricordarli tutti: intanto c'è Katia Ricciarelli, sempre più brava sul grande schermo, che compare con energia all'inizio, poi Albanese che gioca a ping pong con se stesso, Milena Vukotic (che è sempre lei, qualunque personaggio interpreti), Raul Cremona, Lucia Mascino, il sempre efficace Natalino Balasso e poi loro, Fabrizio Bentivoglio e Silvio Orlando che conducono insieme una folle televendita. Ma ci sono tanti altri ancora e fra loro, in un film dedicato al Veneto in tutte le sue forme (la regione viene percorsa un po' tutta, dalla laguna alle montagne) compare persino un sociologo di fama come Ilvo Diamanti. E non basta: visto che Mazzacurati è stato anche presidente della 'mitica' Cineteca di Bologna, una particina va anche al direttore della stessa, Gian Luca Farinelli.

Il film è prodotto dalla Bibì Film di Angelo Barbagallo con Rai Cinema, con il sostegno del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, di Trentino Film Commission, Regione Veneto e Comune di Padova. Una dimostrazione, dunque, di come sia possibile anche oggi, sia pure magari con fatica, trovare diversi alleati per fare liberamente un bel film.

Ma qual è la trama? Una storia un po' da fiaba, un po' da colto cinefilo quale Mazzacurati era (il riferimento sembra essere Mel Brooks, rimanendo dunque nella commedia, con il suo 'Il mistero delle dodici sedie'), una voglia di sorridere inventando (o riattualizzando) la ricerca di questa mitica sedia con dentro un tesoro, operata in questo caso in modo forsennato da un tatuatore (Mastandrea), da un'estetista con le indispensabili macchine sempre 'a rischio sequestro' (Ragonese) e da un prete (un formidabile Giuseppe Battiston) ormai privo di qualunque vocazione che non sia quella per il 'Dio denaro'.

La sceneggiatura, opera di Mazzacurati, Doriana Leondeff, Marco Pettenello, non sempre convince quanto a costruzione ma alla fine è solo un particolare, perché quel che conta è il divertimento autentico che deriva dall'inseguimento 'a tre' delle mitiche sedie disperse presso i più vari proprietari. A piacere, a parte le situazioni, spesso esilaranti (straordinario il prete motociclista da montagna di Battiston, alle prese con l'orso), sono le figurine che i tre incontrano nel loro vagabondaggio disperato in cerca del 'tesoro': ci sono i cinesi, manco a dirlo, il mago cialtrone, quelli che si affidano alle sedute spiritiche, i montanari fuori dal mondo e buoni e bravi artisti ma magari anche un po' fuori di senno (qui forse c'è un riferimento a personaggi come Mauro Corona, forse persino a Ligabue).

Con grande tenerezza e umana pietà, Mazzacurati osserva la regione che ha fatto da sfondo a diversi suoi film (dal primo, 'Notte italiana', a uno dei più riusciti, 'La giusta distanza') e ne osserva il disfacimento materiale ma soprattutto morale, senza citare i capannoni abbandonati, i centri commerciali sempre più dominanti o l'orgogliosa rivendicazione autonomistica di fronte alla crisi, ma guardando alla rincorsa al denaro purchessia e al benessere perduto come ultimo e solo valore superstite.

Non ci sono però 'pesantezze sociologiche' in un film che fa della leggerezza (che non è mai superficialità, sia ben chiaro) quasi la sua ragion d'essere, quasi a dire: 'i tempi sono già abbastanza tetri, proviamo a sorridere di quel che siamo diventati, osservandoci con tenerezza, senza censure ma anche senza condanne preventive'. Un film fatto con un sorriso e che fa sorridere, insomma, riuscendo anche a fare un po' pensare.
E Mazzacurati, allora, ci ha lasciato con un messaggio, che, in fondo, non si nega alla speranza.

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