Recensione: ‘Le confessioni’

Diciamo subito che l’idea di base era proprio bella e che nel film di Roberto Andò, autore italiano di talento non solo per ciò che riguarda la ‘dimensione politica’, non mancano molti momenti interessanti e anche affascinanti. Il lungometraggio ha il merito di fare un passo avanti ulteriore rispetto a ‘Viva la libertà’, dove la riflessione, anche sarcastica, sul senso sempre meno chiaro della politica e dell’operato dei politici aveva prodotto un’opera ‘intrigante’, che era piaciuta alla critica e anche al pubblico.

Qui si tenta allora una riflessione ancor più ‘complessiva’: avrà senso cercare di governare le sorti del mondo, di fare politica a livello globale, appunto, quando i meccanismi di potere, le persone che prendono le decisioni,le motivazioni delle scelte stesse sono sempre più sfuggenti e sconosciute, quando a determinare tutto sono le leggi spietate dell’economia mondiale, neppure note e trasparenti eppure così pesanti nei loro effetti sulla vita della popolazione di tutto il globo?

Bel tema, appunto, e se si pensa ai G7 e G8, o persino a ‘lobby mondiali’ come la mitica Bilderberg o simili, oppure anche più semplicemente alle riunioni a Cernobbio, si coglie nel segno. Andò prova allora a raccontarci una di queste ‘riunioni al vertice’, dove i potenti della terra si ritrovano per ratificare accordi già presi o raggiungere intese segrete, o semplicemente per prendere atto di quel che l’economia e la finanza hanno già deciso da sole; a fare da contorno, nella riunione che Andò immagina come tenuta in una lussuosa località lacustre e termale della Germania (o almeno così parrebbe), ci sono anche alcuni rappresentanti della ‘società civile’, una fortunata scrittrice per bambini, una rockstar, un frate italiano un po’ misterioso ed enigmatico, Roberto Salus, che è appunto Toni Servillo.

A presiedere il summit fra ‘ministri’ è Daniel Roché, direttore del Fondo Monetario Internazionale, che si concede pure una festa di compleanno, a consacrare il suo potere di indirizzo sulle sorti del mondo. Ma a questo punto, ecco l’imprevisto: Roché, spietato ‘direttore d’orchestra’ di quello e di vari altri summit, chiede a Salus di confessarlo e prova, sia pure con ritrosie e molte reticenze, ad aprirgli il cuore e a rivelargli un po’ di quelle verità che neppure i media raccontano, perché le cose ‘si fanno ma non si dicono’ e le decisioni più spietate è meglio tenerle segrete fino all’ultimo.

Poi la situazione precipita: Rochè (il bravo Daniel Auteuil), dopo l’incontro con Salus, viene trovato morto, probabilmente suicida, e tutto diventa terribilmente complicato: i potenti del mondo, spietati, nevrotici e dalle facce poco raccomandabili, vorrebbero sapere cosa Rochè abbia raccontato a Salus, se sia stata rivelata quella ‘tremenda decisione’ che era già stata di fatto deliberata al vertice, pensano attentamente a cosa debba essere riferito ai media di tutta la vicenda, provano a blindare le parole e le opinioni di tutti i presenti (compresi gli ‘artisti’ e quell’incomprensibile monaco, che ama registrare le voci ma, assicura, non quelle umane ma quelle degli uccelli). Fra colpi di scena, tentativi di violenza e di omicidio, comportamenti più o meno prevedibili dei presenti al summit, microspie e telecamere dovunque, si sviluppa un giallo, affatto mal realizzato dal punto di vista cinematografico, su quel che è realmente accaduto e su cosa sappia Salus, al quale peraltro anche diversi altri si confidano in confessione, complicando molto la situazione complessiva.

Tutto bene, dunque, fin qui, perché la tematica è bella e affascinante, Servillo ci mette naturalmente del suo e quella riunione, anche come metafora esistenziale, fra politica, economia, arte, etica e religione, intriga mica poco, anche, come detto, per il giallo che si sviluppa e si dipana in quelle lussuose stanze e sul vicino lago (se tale è). Senza dimenticare che il finale sembra quasi essere un piccolo sberleffo, perché con i suoi mitici silenzi e i suoi semplici e inderogabili principi, è proprio Salus a prevalere, persino nelle simpatie del terribile cane di quel summit, anche se (sembrerebbe) in realtà non aveva poi saputo chissà che nelle confessioni in serie dei presenti.

Quello che invece ci è parso assai meno felice nel film di Andò è non aver scelto una ‘linea precisa’ di racconto e di stile, mischiando un po’ di tutto, con esiti non sempre convincenti. La riunione con risvolti spirituali rimanda probabilmente a un ‘mitico’ film di Elio Petri del 1976, che era stato una grottesca e spietata metafora sul potere e l’espiazione, legata al ‘regime democristiano’ dell’epoca e peraltro ispirata a Sciascia (siciliano come Andò, non a caso). Qui ovviamente gli esiti non sono altrettanto felici, anche perché il tema è più rarefatto e indistinto (gli interessi economici che governano le sorti del mondo a confronto con la semplice ma anche un po’ misteriosa religiosità del frate, peraltro ex matematico). E poi vedendo il film si pensa subito alla Grecia, alla crisi economica che nessuno ha saputo risolvere, a quelle riunioni al vertice raccontate nei Tg, così esclusive e pure in apparenza così ‘futili’. Riferimenti chiari ma non del tutto espliciti, a lasciare un po’ indistinto e ‘generico’, quasi metaforico appunto, il racconto.

Il ‘messaggio’ del film è insomma meno chiaro e diretto di ‘Viva la libertà’ e c’è poi in Andò anche un bel po’ di estetismo (ma anche un’effettiva maestria nel muovere la macchina da presa, s’intende, mentre Nicola Piovani aiuta bene con le sue musiche); ci è parso persino che un altro riferimento sia il Sorrentino di ‘Youth’, che però si muove su un piano più alto e di altro livello rispetto ad Andò, va detto subito.

C’è poi il tono giallo del racconto, che se è efficace in molti momenti sul piano spettacolare, devia l’attenzione del pubblico su un altro genere rispetto a quella metafora politico-etica-esistenziale che era probabilmente nelle ambizioni di ‘Le confessioni’. Resta un po’ enigmatica, alla fine, anche la figura di Salus, che pure, per personalità, semplicità e amore per gli animali e la natura, sembra alludere ai principi del francescanesimo, da sempre estraneo a quel mondo del lusso e del potere. Francescanesimo, ma forse, alla fine, anche Papa Francesco, una fra le poche speranze del mondo di oggi.

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