Il film di Giovanni Veronesi prova a raccontare la vita di un romano onesto alle prese con la corruzione dilagante nel Paese dagli anni Ottanta a oggi. Ma, al di là del tono gradevole, si tratta di un film un po’ ‘di maniera’, basato su attori e un linguaggio troppo ‘televisivi’.

Prendete un attore di grande talento come Elio Germano e fategli interpretare la vita onesta ma ingenua di un ragazzo romano di modesta origine che si ritrova suo malgrado al centro di molte vicende 'importanti' di questo Paese, finendo per scontrarsi negli anni con la corruzione e le varie magagne italiane. La storia si snoda nel tempo, partendo da quando, negli anni '60, il nostro amico era bambino e nelle partite di pallone nessuno gli passava la palla. Succederà anche più tardi, forse perché lui è 'l'ultima ruota del carro'.
Ernesto - il nostro protagonista - subisce continuamente, da vittima onesta, gli eventi e le pressioni degli altri. Litiga con il padre che lo vorrebbe tappezziere come lui, si sposa con la prima 'ragazza del cuore' che gli capita, si fa assumere con un mezzuccio che gli impongono come cuoco di un asilo ma combina disastri in cucina e scappa via, si fa tarlupinare dal presunto 'grande amico' (Richy Memphis, co-progonista del film), che la sa più lunga di lui e sale in modo spregiudicato su qualsiasi carro 'vincente' per diventare ricco in pochi mesi. Buona parte del film è infatti dedicata alla rievocazione dell'irresistibile ascesa, fino alla caduta finale, dei socialisti della 'Milano da bere', dove i soldi correvano a fiumi e l'onestà era diventata un inutile orpello. Su Craxi e dintorni (si rievocano persino le monetine del Raphael) 'L'ultima ruota del carro' si diffonde a lungo, trovando in Sergio Rubini il bell'interprete di un viscido dirigente del Psi di allora con il terrore dell'arrivo della Guardia di Finanza.
Ernesto si ritrova così in mezzo a una specie di associazione a delinquere ma le inchieste giudiziarie non lo lambiscono nemmeno, lasciandogli il dubbio sul fatto che di quelle storiacce lui fosse stato, alla fine, 'socio' o meno.
Dopo una rapida allusione a Berlusconi come continuatore di quei (dis)valori degli anni Ottanta, il film salta di brutto al 2013 e ci fa ritrovare il nostro eroe, anzianotto e di nuovo povero dopo quel periodo di illusioni, alle prese con una infausta e devastante diagnosi di un tumore che si rivela alla fine inesistente e poi con una clamorosa grossa vincita di gioco che si vanifica per la perdita della cartolina 'fortunata' (così Germano va per un attimo nel bel mezzo della spazzatura di Malagrotta a cercare la cartolina 'galeotta').
Fin qui la trama. Per un commento, partiamo prima dalle cose buone.
Il film è ben diretto, la sceneggiatura è a suo modo abbastanza abile, le interpretazioni di diversi attori sono o ottime (Germano) o efficaci (eccellente per esempio, Alessandro Haber nel ruolo del pittore che rivendica la proprio libertà artistica nei confronti del potere, del denaro e della politica), molte 'presenze' sono simpatiche (segnaliamo Virginia Raffaele, per cui il film può essere l'inizio di una bella carriera anche al cinema), il tono è gradevole, lo spettacolo c'è e, tanto per non farsi mancare niente, è stata pure reclutata Elisa per le musiche. Come commedia all'italiana, 'L'ultima ruota del carro' si situa in una posizione sicuramente migliore rispetto ai cinepanettoni e non ricorre a eccessive volgarità, infatti, anche se siamo assai distanti dal mordente dei nostri 'classici' (un film come 'C'eravamo tanto amati', a cui pare ci sia una qualche allusione, per dire, è in realtà lontano anni luce).
Non per niente sul versante delle 'pecche' il piatto della bilancia è altrettanto pieno. La vicenda (si dice ispirata a una persona realmente vissuta a Roma) sembra affidata a una certa quantità di luoghi comuni e di vicende storiche serie raccontate senza troppe pretese, con un tono che sembra severo ma che alla fine è relativamente innocuo (tuttavia qualche socialista reduce da quell'epoca si potrà pure offendere e magari anche qualche berlusconiano). Più in generale, poi, tutto sembra abbastanza irreale, compresa l'onestà da angioletto da rotocalco di Germano e della 'purissima' moglie Alessandra Mastronardi. Il finale poi è da classico e scontato 'happy end', edificante e banale come si conviene.
Manca - e forse era abbastanza scontato - sia la forza della vera 'commedia all'italiana', come detto, che il 'pathos' di un film che racconti in modo realmente appassionante la vita di un uomo qualunque a confronto con le vicende italiane degli scorsi decenni. Troppo spesso si fa ricorso all'allusione scontata (non manca neppure Anja Pieroni), alla battutina, alla situazione più efficace dal puro punto di vita scenico o comico. L'impianto è chiaramente più 'televisivo' che cinematografico e il linguaggio è non di rado quella della sitcom, con tante 'macchiette' tese a strappare un facile sorriso.
Non a caso la scelta degli attori sembra essere stata fatta strizzando appunto l'occhio alla Tv, con la Mastronardi (che fa tanto 'Cesaroni'), la Raffaele, Memphis e un'altra bella schiera di attori romani (c'è anche Maurizio Battista), per non dire che viene pure rimessa in scena Dalila di Lazzaro.
Insomma, meglio non aspettarsi troppo da quest'opera (prodotta da WB e Fandango), diretta da un Veronesi reduce dai successi di 'Manuale d'amore' e compagnia. Se si parte con questa prospettiva di non eccessive pretese, si può anche passare un'ora e mezza divertente, sempre, magari, che non si sia stati seguaci di Bettino Craxi.