Recensione: “Magnifica Presenza”

Questa settimana ‘ci cimentiamo’ in un’ulteriore recensione di un film attualmente in programmazione nelle sale cinematografiche. È “Magnifica Presenza” di Ferzan Ozpetek.

I cinefili avranno pane per i loro denti. È infatti pieno di citazioni per amatori e intenditori 'Magnifica presenza', il nuovo film di Ozpetek, a cominciare da quella che sembra evidente a chi ricordi i film della commedia all'italiana, ovvero 'Fantasmi a Roma', film degli anni '60 di Pietrangeli che vedeva nel cast Mastroianni, Gassman, Buazzelli e che prevedeva uno spassoso e continuo dialogo fra il protagonista e i nobili fantasmi ex abitanti di un palazzo della Capitale.
Ma il film è anche molto felliniano, perché fondato sulla dimensione del sogno e del ricordo, tanto care al regista romagnolo, e in più ammicca anche, quasi, al film nel film, classica dimensione da amante del cinema, anche se qui in realtà si parla di teatro (e qui il riferimento è al Pirandello di 'Sei personaggi in cerca d'autore') ma con una riflessione non secondaria anche su cosa sia il mestiere dell'attore, che il protagonista vorrebbe infatti intraprendere, senza molte speranze.
Per il resto tutto ruota attorno al personaggio di Elio Germano, in scena dall'inizio alla fine del film, da quel 'magico attore', o mattatore assoluto, che è e che ormai ben conosciamo.
La storia, ora.
“Caro mio, tu devi scopare, una donna, un uomo, scegli tu, ma devi scopare, se non vuoi impazzire”. La cugina (ma si scoprirà che non lo è neppure davvero) lo consiglia caldamente al giovane congiunto Pietro, con cui convive da un po' a Roma e di cui cura anche gli affari legali, ma di cui condivide ben poco. Infatti, se lei, pur affatto bella, si dà da fare a dovere non solo per il sesso in sé quanto per trarne profitto a livello economico e di carriera, lui, che non è neppure più un ragazzino, ha altro in mente: gay venuto a Roma dalla Sicilia per inseguire un vago amore in buona misura immaginario, si ritrova subito infatti malamente scaricato dall'uomo che (forse) amava. Ma non si dà per vinto e preferisce lo stesso andare ad abitare in totale autonomia in un bel palazzo romano, sicuramente troppo grande per un uomo solo, campando intanto preparando dolcetti per una pasticceria.
La vita - si intuisce - è troppo difficile e complicata per un ragazzo-bambino (nell'animo) come lui e infatti lui preferisce fuggire in una dimensione tutta sua. E poiché (anche) ognuno combatte la solitudine come crede e come può, Pietro si ritrova, prima atterrito poi sempre più coinvolto e consapevole, a parlare con i fantasmi, un gruppo intero di fantasmi, anzi, proprio come nel film di Pietrangeli citato in apertura.
Solo che naturalmente i fantasmi li vede solo lui e gli altri lo prendono per matto e lo mettono sotto cura medica. Il gruppo di fantasmi è accattivante: c'è un bambino un po' obeso che sembra quasi venire dalla Famiglia Addams, c'è un capocomico fine e ben vestito (Beppe Fiorello), c'è un'intensa attrice come Margherita Buy e c'è anche, fra gli altri, Vittoria Puccini.
Pietro pian piano ci prende gusto: i fantasmi gli riempiono quella casa troppo grande e vuota e la loro vicenda si dimostra alla distanza intrigante; appartenevano a una compagnia teatrale che, in epoca di guerra e Resistenza, aveva fatto una brutta fine e c'era di mezzo qualcuno che aveva tradito, impendendo anche agli sfortunati attori l'ultima rappresentazione.
Meglio il sogno o la realtà, allora? E dove sono esattamente i confini, anche temporali, fra le due cose? Sulla questione Ozpetek si diverte a ricamare un bel po', evitando stavolta le solite megatavolate (a tavola le sedie stavolta le riempiono i fantasmi) e il racconto di grandi tragedie, cose che spesso caratterizzano il suo cinema. La stessa questione omosessuale, sempre presente nei suoi film come nella sua vita, stavolta resta un po' sullo sfondo, fatta salva qualche divertita 'variazione sul tema', che per un attimo vede sulla scena, per esempio, anche Platinette.
Per il resto, Ozpetek preferisce usare in questo film un tono leggero che ammicca quasi, in alcuni punti, alla commedia (all'italiana), ovviamente, anche in questo caso, d'autore.
Poi sul finale il colpo da maestro: a rivelare come andarono le cose quella volta, in epoca di guerra, è un vero pezzo da primattrice di Anna Proclemer. E il suo 'quasi monologo', interpretato manco a dirlo in modo magistrale, vale probabilmente da solo l'intero film.
Film che si chiude sui riccioli da angioletto di Pietro - Elio Germano, che sorride innocente e divertito sui titoli di coda, come in 'La finestra di fronte' ci si soffermava per tutti i minuti finali sugli splendidi occhi di Giovanna Mezzogiorno (e il parallelo fra i due l'ha fatto lo stesso Ozpetek, confessando la sua passione per la coppia di attori). Sorride Germano e sembra dirci: siete sicuri che sia meglio la vostra vita rispetto alla mia? E Ozpetek questa volta sorride divertito con lui.

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