Il film racconta la vicenda del ‘Decamerone’ di Boccaccio, che nel cinema italiano è diventata purtroppo sinonimo di pellicole ‘pruriginose’, erotiche, licenziose, insomma boccaccesche, nel senso meno nobile del termine. È un destino singolare quello del ‘Decamerone’ e delle sue brillanti novelle narrate tra giovani per passare il tempo, che sono diventate nel cinema italiano per diversi anni solo vicende di corna, libertà sessuale a ogni costo, racconti libertini e impertinenti.
Tutto questo a partire da quella versione di Pier Paolo Pasolini del 1971 che conteneva in effetti come centrale l’elemento della libertà sessuale (all’epoca ancora elemento ‘rivoluzionario’) ma che naturalmente lo trattava in chiave intellettuale e culturale, visto che ‘Decameron’ faceva parte della celebre ‘trilogia della vita’, con Canterbury e le Mille e una notte, forse l’epoca migliore per il cinema di Pasolini, prima delle disperazioni di ‘Salò’.
La cosa che molti ricorderanno è appunto quella deriva di un cinema italiano che cominciava a perdere colpi nella sua produzione più ‘corrente’ e che portò al fiorire continuo dei vari ‘Decameroticus’, ‘Decamerone proibito’ e simili, con una quantità di novelle ambientate nel 1300 (o giù di lì), sempre più licenziose, sempre più corrive e sempre più assurde.
Chissà se i Taviani, da bravi toscani, si proponevano oggi di rimettere le cose nell’ordine giusto. Ordine giusto che poi forse non poteva che essere in senso opposto a quello cui Pasolini involontariamente aveva dato origine negli anni ‘70. Questo ‘Maraviglioso Boccaccio’ finisce così per mettere fin troppo la sordina all’elemento erotico e liberatorio in tema di sesso, tanto che vengono prese in considerazione solo cinque novelle e di queste l’unica realmente licenziosa è quella del convento, che vede la madre badessa, intenta a punire una suora che aveva ceduto alle tentazioni della carne, venire scoperta platealmente per lo stesso peccato per aver messo sul capo non il velo ma i mutandoni dell’amante clandestino. ‘Ognuno ritorni nella propria cella a confortare chi l’aspetta’ - sentenzia allora la badessa, prima severissima con la sottoposta, e, insomma, chi vuol essere lieto sia.
Le altre quattro novelle prescelte trattano dell’amore in un senso più nobile e completo e contengono altre dimensioni care a Boccaccio: quella dello scherzo, anche feroce, dell’amore che sconfigge e supera persino la morte, della gelosia di un padre che non accetta che la figlia si apra davvero all’amore e alla vita.
Piace la cura della confezione, dalla fotografia ai costumi, dalle ambientazioni splendide in luoghi e monumenti che sono ‘gioielli’ della Toscana (e non solo), fino alle bellezze della stessa campagna e della vita contadina. L’insieme è maestoso, mentre è simpatico ritrovare nel film molti volti celebri del cinema attuale impegnati nelle novelle, da Jasmine Trinca a Scamarcio, da Kim Rossi Stuart a Vittoria Puccini, a Carolina Crescentini, a Michele Riondino, per non parlare di Paola Cortellesi e di un intonatissimo Lello Arena.
Molto bella poi la parte iniziale, che rappresenta con pochi tratti la distruzione della vita e di qualsiasi senso di umanità che la peste ha portato con sé in varie epoche.
Tutto bene, con il chiaro sapore (persino nei titoli di testa e di coda, verrebbe da dire) del buon cinema italiano di un tempo, quello che i Taviani ancora ben rappresentano, alla loro non certo verde età.
Però, c’è un però: l’intento dell’intera operazione sfugge alla fine allo spettatore, la rinuncia a uno stile più attuale e ai ritmi (anche e soprattutto nel montaggio) cui oggi il pubblico è abitato porta con sé un bel po’ di freddezza di tutta l’opera, che certo non attira il pubblico con ‘effetti speciali’, correndo anche il rischio dell’estetismo fine a se stesso.
Come in ‘Cesare dove morire’ tutto era ‘politicamente correttissimo’ e coerente in un modo fin troppo ‘vistoso’, anche qui non si accettano compromessi: se ti stanno bene i toni e i sapori, puoi gustarti il film, se cerchi qualcosa di un po’ più ‘immediato’ e magari di più facile presa, torni a casa un po’ a digiuno.