Nanni Moretti è stato spesso accusato (non a torto, magari) di mettersi sempre troppo al centro dei suoi film, in cui interpreta anche di norma la parte del protagonista; un regista che si autodirige, dunque, e rischia anche di parlare sempre innanzitutto di se stesso. Era accaduto persino in ‘Habemus papam’, per certi versi, dove c’era l’adorabile figura del Papa ‘imprevisto e inadeguato’ di un fantastico Michel Piccoli, ma c’era anche Nanni Moretti psicanalista, intento a dirigere il traffico dei cardinali in conclave e della Curia alle prese con quel Papa ‘riluttante’ (straordinaria anticipazione, per certi versi, delle dimissioni di Papa Ratzinger).
Sarà per questo che per ‘Mia madre’, che forse è il film più ‘personale’ fra tutti quelli di Nanni, in termini di sentimenti messi a nudo senza ipocrisie né cautele, Moretti ha scelto di non essere lui al centro della scena e di non impersonare se stesso, ritagliandosi invece la parte del fratello della protagonista, un personaggio un po’ in ombra che Nanni interpreta in modo molto dimesso (nel suo stile, comunque) e che non si sa bene nemmeno che lavoro faccia.
Ma dato che il film, come da titolo, vuol parlare di un figlio che ha la sventura di affrontare la prova della perdita della madre, di cui scopre molto proprio nel momento più doloroso, e che naturalmente l’ispirazione è la stessa tragica esperienza vissuta poco tempo fa dallo stesso Moretti, serviva qualcuno che lo rappresentasse direttamente sullo schermo.
E il regista non poteva scegliere meglio l’attrice per quel personaggio ‘impossibile’, visto che ha trovato in una impagabile Margherita Buy la sua ‘alter ego’ ideale. Margherita (non a caso, crediamo, ha lo stesso nome anche nel film) fa la regista, naturalmente, e il cinema nel cinema ancora una volta trionfa, ma soprattutto ‘è’ Nanni Moretti, che le è accanto nel personaggio del fratello e entrambi devono affrontare la malattia e poi la morte della madre. Il meccanismo può sembrare ‘lezioso’ ma tutto funziona, invece, soprattutto per il grandissimo impegno di Margherita Buy, capace di passare in un attimo dalla nevrosi all’analisi razionale, dall’ira al dolore, dalla depressione all’esaltazione, dagli ordini perentori alla troupe alla spietata analisi autocritica, dando vita a un personaggio vero e profondo.
Ci sono poi altri due punti di forza assoluti del film: il personaggio della madre, ingrato perché passa buona parte del tempo da anziana in un letto d’ospedale, è affidato a un‘attrice di razza e di pretta impronta teatrale come Giulia Lazzarini, ben poco presente nel nostro cinema (mentre a suo tempo ha fatto parecchia Tv). Qui la Lazzarini interpreta con naturalezza e totale adesione il personaggio di una nonna malridotta che però non rinuncia alla vita, che soffre ma sa anche stare con i figli che la vedono spegnersi con enorme dolore, senza far mancare il conforto di una presenza autorevole e sapiente anche alla nipotina (anche la ragazza, Beatrice Mancini, è stata scelta benissimo come attrice, pur essendo al debutto assoluto), alle prese con quel latino che lei ha insegnato per tanti anni.
Poi c’è John Turturro che in parte interpreta se stesso (anche lui), e il suo personaggio di attore italo-americano folle, nevrotico, fragile e incontenibile, bugiardo ed egocentrico ma anche simpatico da morire e vitale all’estremo, è a sua volta assolutamente indovinato e quasi irresistibile. È Turturro a rappresentare l’altra faccia, quella comica, positiva, divertente, di un film che però vuole parlare soprattutto di sentimenti e di dolore, senza ricalcare lo straziante ‘La stanza del figlio’ ma senza staccarsene neppure troppo.
E il Moretti politico? Nanni qui cede le armi: “tutti vorrebbero da me dei film ‘politicamente importanti’ ma io so solo che non ci capisco più niente” - dice per lui Margherita. Non a caso - anche qui - il film che Margherita sta girando è di quelli ‘belli impegnati’, parla di lavoro che non c’è e di lotte operaie ma neppure la regista è troppo convinta e urla e impreca contro la troupe e contro Turturro ma non è molto soddisfatta a sua volta di quel che fa, e non solo perché intanto la malattia della madre fa il suo corso.
Ci sono poi vari sogni, un classico nel cinema, ricordi personali di diverso genere (la fila al cinema Capranichetta che in un attimo riporta ad una scena del passato personale, cittadino e del mondo del cinema in generale), fantasia al lavoro in vari punti dell’opera. Su tutto domina il senso di ineluttabilità di un dolore così grande come la perdita della propria madre, che Moretti, nel suo stile, costruisce senza enfasi e ‘scene madri’ ma con i suoi ‘quadretti’ semplici ed efficaci, scene di vita ed apologhi ‘esemplari’ al tempo stesso. Un film che arriva dritto al cuore e inevitabilmente commuove. Non a caso sta conseguendo un successo di pubblico che merita e potrebbe piacere, per l’universalità dei sentimenti raccontati, anche a livello internazionale.