La coppia Scorsese-Di Caprio dà vita a un affresco ‘gotico’ relativo alla vita di un broker che fa denaro a palate convincendo tutti della possibilità di ottenere soldi facili puntando in Borsa su società ‘fasulle’. Il film è magnificamente ‘eccessivo’ e all’Italia si allude in diversi momenti.

C'è un momento, in questo film di Martin Scorsese, in cui si sentono risuonare le note (alcune fra le tante, anche la musica qui è scelta con grande attenzione) di 'Mrs. Robinson' di Simone & Garfunkel, che - si ricorderà - era la canzone che accompagnava le imprese di Dustin Hoffman in 'Il laureato', mitico film degli anni '60 che identificava anche da noi l'America migliore, quella del nuovo sogno, quella che cambiò il mondo dando vita al beat, al rock, all'hippy, alla contestazione della guerra in Vietnam, al '68. La canzone accompagna non a caso uno dei pochi momenti del film in cui la giustizia sembra provare a trionfare: è l'ora in cui l'FBI fa le sue belle retate e arresta in serie tutti i componenti della Stratton Oakmont di Jordan Belfort, che ha truffato tantissime persone convincendole a devolvere i propri risparmi a titoli 'patacca' o poco più, venduti per giunta al telefono con commissioni del 50%, dietro il miraggio di un facile e veloce arricchimento.
L'idea è dunque che quella America che abbiamo amato, quella che ci ha fatto sognare da ragazzi, abbia forse ancora qualche cartuccia da sparare ma che alla fine anche questa sia pura illusione, perché ormai la realtà è spaventosa e orribilmente compromessa: ha vinto il denaro, orribile corruttore di ogni essere umano, il cui accumulo è l'unico scopo della vita di tanti, quasi tutti, tanto che è quasi impossibile resistere alla sirena di Jordan Belfort, che riesce a fare soldi a profusione solo con l'uso dell'arte di convinzione al telefono: 'ti regalo io il sogno' - è il leitmotiv - ; basta convincere di questo tanti mediocri americani che nella vita si arrabattano malamente e loro ti daranno subito i loro soldi, ogni loro risparmio. In cambio non gli darai società valide ma appunto pure patacche, che però saranno il loro sogno di potenza e di denaro. Non molto di più, in fondo, delle slot-machine e neanche delle lotterie, del gioco in genere, tutte cose che se non stai attento, ti portano a loro volta alla rovina.
Non siamo però nel mondo dell'altissima finanza, quello delle J.P. Morgan o delle Morgan Stanley, Belfort ha effettivamente cominciato da broker a Wall Street ma dopo essere partito benissimo e aver imparato quel che c'era da imparare (tutto è lecito per fare soldi, droga e sesso portati all'estremo ti terranno su e daranno un senso alla tua vita e al tuo lavoro), è rimasto coinvolto subito nel crollo della Borsa americana del 1987 e ha dovuto ricominciare da zero.
Sveglio e totalmente spregiudicato, Belfort capisce subito che non è però necessario per fare soldi appartenere all'élite finanziaria (alla Madoff, per intenderci): basta magari puntare sui Borsini, quelli degli 'indici minori' rispetto a Dow Jones e Nasdaq. Lì è anche più facile vendere illusioni e patacche, perché le società sono poco conosciute e si può convincere meglio chiunque del loro presunto valore, alimentare sogni, illusioni, alzare le commissioni a profusione. E alla fine non servono né cultura economica né cultura in generale per mettere su un bel gruppetto di assetati di denaro facile che telefoni alla gente e la convinca a darti i soldi: Belfort, infatti, recluta i suoi uomini fra un drappello di spiantati e debosciati che conosce casualmente, del tutto estraneo al giro finanziario propriamente detto.
Scorsese ci fa seguire passo passo, nell'ambito di un film di durata sconfinata e dedito all'eccesso da ogni punto di vista, la corsa forsennata di Belfort, che fa crescere giorno dopo giorno la sua società para-finanziaria, costituisce un vero piccolo esercito pronto alla battaglia, che si dedica all'impresa con sedute collettive di autoconvincimento degne di sette para-religiose, con tanto di riti scaramantici (l'evocazione e la visione del famoso 'lancio del nano'), orge e sesso a profusione e soprattutto droga, tanta droga di ogni tipo e genere, perché la vita sembra avere come scopo proprio lo 'strafarsi', ovvero la realizzazione del sogno di un'esistenza diversa e meravigliosa, quasi ultraterrena.
Al suo lavoro (o 'missione') Belfort sacrifica tutto: i fantastici beni materiali che ormai può permettersi gli servono solo per l'ostentazione con gli altri, la famiglia la brucia, alla fine, a favore del sesso facile né andrà meglio con la sua nuova bella conquista, che considera solo un desiderio da esaudire, una preda da ottenere, al pari di una Ferrari, di uno yatch e di un gioiello, anche se la donna così desiderata gli darà poi due figli e per un po' una parvenza di casa in cui abitare. Soldi, sesso e droga restano in realtà i soli elementi di una vita ormai perduta, perduta fin da giovanissimo, e marciano paralleli verso l'inevitabile distruzione finale (dopo tanta gloria e tantissimi soldi) del sogno della Oakmont, che lascia dietro di sé solo tanto denaro della gente bruciato, tante vite rovinate, con un terribile veleno iniettato nella vita dell'America.
Ci sono state anche polemiche su questa scelta di Scorsese di mettersi solo 'dalla parte di Belfort' e dei suoi poveri seguaci, senza illustrare che cosa succeda dall'altra parte, senza far mai vedere le vittime delle truffe e delle sue spericolate avventure finanziarie. Il film sta andando bene al botteghino, i soldi vadano allora al fondo che risarcisce le vittime del vero Belfort (dal cui libro di 'memorie' il film è tratto), dicono i critici di Sorsese, e hanno anche le loro ragioni, naturalmente.
Ma quella di Scorsese è una scelta artistica come un'altra, il regista non vuole fare un film-inchiesta o di pura denuncia ma insegue la sua voglia di far vedere implacabilmente come si sia bruciato ogni elemento appunto del sogno americano di cui parlavamo all'inizio, quello del Paese dove tutti possono fare soldi partendo anche dal nulla, se hanno voglia e capacità di fare impresa. Oggi i soldi li hanno in pochi, la regola è l'ingiustizia, il lavoro latita, l'ascesa sociale è preclusa e in fondo interessa poco, perché costa troppa fatica, la finanza è invece tutto, la regola del 'voglio tutto subito e sono disposto a tutto per questo' è ormai implacabile, è una vera e propria via verso l'inferno e a Scorsese e a Di Caprio (che collabora con fantastica dedizione al film, anche a livello produttivo, senza risparmiarsi nulla come attore-simbolo della depravazione umana) interessa questo lato della questione.
Il film cavalca imperterrito senza negarsi (e negarci) nulla: tutto è chiaramente eccessivo, ridondante, persino 'esagerato', ma fa parte del gioco, perché l'inferno non è un posto allegro. Però in fondo un lato comico c'è, perché anche il sarcasmo può servire allo scopo: la scena più incredibile fra tutte è quella di Di Caprio strafatto che si trascina strisciando per strada, torna a casa in auto in qualche modo e riesce, proprio mentre in Tv c'è Braccio di Ferro con i suoi spinaci, a salvare in extremis l'amico che a sua volta aveva ingoiato una quantità esagerata di pillole dall'effetto magnifico e assieme micidiale. È una scena per cui Di Caprio e l'eccellente Jonah Hill ricorrono anche a virtuosismi, acrobazie, davvero un pezzo quasi da antologia, anche se l'effetto comico c'è, al pari di qualche altro momento del film.
Del resto Di Caprio parla spesso anche agli spettatori, quasi strizzando loro l'occhio, e in alcuni momenti del film ascoltiamo anche il pensiero segreto di chi è in scena, con effetto ulteriormente grottesco.
Fantastico ed estremo viaggio nella follia umana, 'The Wolf of Wall Street' non vuol essere solo una storia americana, perché altrove non si sta molto meglio e la pulitissima Svizzera è più sporca di tutti gli altri, mentre una 'matura zia di Londra' non porta acqua al mulino degli inglesi: in cambio di un po' di sesso con un bel giovane come Belfort, si presta a coprirne le malefatte mondiali; alla fine del resto l'avventura di Belfort ricomincia come conferenziere e affabulatore in Nuova Zelanda, come dire che neppure i Paesi presunti 'emergenti' si salveranno.
Ma soprattutto c'è un bel po' di Italia in questo film, perché le scene di 'motivazione collettiva' nel call center della società un po' ci ricordano quelle di Virzì in 'Tutta la vita davanti', perché Belfort è un gaglioffo che più che un grande finanziere ci ricorda personaggi italiani alla Degiovanni o alla Mendella, perché ci sono anche le televendite, sì proprio quelle che noi ben conosciamo, e perché alla fine l'Italia compare, eccome, bella e folle a sua volta. Ancorato lo yatch nel mar Ligure, Belfort si trova alle prese con un'improbabile (in quelle acque) megatempesta mortale e si salva a stento per via aerea.
Tutta l'opera è al contempo straordinaria, magnifica, volutamente fuori misura, eccessiva e dipinta con tinte fortissime. Un grido di dolore, un 'calcare la mano' che vuol dire allo spettatore di stare ben attento: i mostri sono fra noi, la vita ormai la dominano loro, forse i mostri siamo proprio tutti noi.