Ancora un film francese alla ribalta: è ‘Tutti pazzi per Rose’ che, dopo ‘The Artist’, si dedica di nuovo alla ricostruzione d’epoca, quella della fine degli anni ’50, quando le donne cominciavano ad emanciparsi…

Chiudo con questa nota su un film francese uscito in Italia in queste settimane questa serie di recensioni di film, almeno per questa stagione, che ho tentato di fare da qualche mese a questa parte. Un tentativo che spero abbia avuto qualche riscontro presso i nostri navigatori e che spero non sia stato sgradito. Grazie dell'attenzione.
Dopo l'inimitabile 'The Artist' si conferma il momento felice del cinema francese, con questa commedia romantica che ha a sua volta l'ambizione di ricostruire un'epoca, stavolta quella della fine degli anni '50, in cui l'emancipazione femminile era ancora contenuta nei limiti della conquista di un lavoro, anzi del lavoro che allora sembrava 'il massimo' per ragazze che volessero sottrarsi alla triste sorte di sole mamme e mogli, ovvero quello di segretaria in un'azienda o in un ufficio. Non più 'angeli del focolare', dunque, ma 'angeli della macchina da scrivere', sì proprio di quell'oggetto del desiderio che a quell'epoca rappresentava anche 'la nuova frontiera' per il progresso femminile nella società.
Alle prese con un matrimonio prefissato dal padre e con la modesta prospettiva futura di occuparsi più che altro del negozietto di famiglia, la giovane Rose Pamphyle, originaria di un paesino della Bassa Normandia, rimane affascinata dall'arrivo della macchina di scrivere che il padre si è incautamente procurato e su quella pensa di costruire un futuro diverso. Si reca dunque “in città” e prova la grande avventura di partecipare alle selezioni di un 'bel tomo', il giovane, ma non troppo, assicuratore Louis Echard, che cerca proprio una segretaria.
La fortuna l'aiuta e Rose si ritrova assunta ma non sa cosa l'aspetta: Louis, strano personaggio che rifiuta il facile stereotipo del 'principale' che seduce la segretaria, sembra avere invece una passione precisa nella vita, quella di fare, più o meno, 'l'allenatore', sì proprio quello delle squadre di calcio. Louis intuisce che Rose ha una qualità utilissima in quegli anni: è velocissima nel battere a macchina, anche se, come tante all'inizio, lo fa ancora con sole due dita. Insensibile in apparenza al fascino sottile di Rose, priva di particolari attrattive ma carina, caparbia, determinata, fornita di un caratterino che la rende 'interessante', Louis pensa a una cosa sola: come rendere Rose una campionessa della dattilografia, scommette su di lei (letteralmente) e la fa partecipare pian piano a tutte le gare femminili che fiorivano in quell'epoca, basate proprio sulla velocità di battitura sulle macchine da scrivere.
Rose forse vorrebbe invece l'amore da lui ma alla fine accetta la sfida del bisbetico Louis, che le fa da appassionato 'trainer' ai campionati locali, nazionali e poi - meraviglia delle meraviglie - addirittura mondiali, a New York, nella tana degli odiati americani, che vincono sempre, in questa come in tante altre specialità.
'Non avrò altre qualità ma batto velocemente a macchina' - si dice Rose nei momenti di dubbio. Con Louis il rapporto è tormentato, fino a una vera commedia degli equivoci in un'occasione natalizia con la famiglia di lui, ma si capisce fin troppo bene che l'amore cova naturalmente sotto la cenere e prima o poi esploderà, Accadrà proprio a New York, quando Rose alla fine diventa campionessa mondiale di velocità di battitura, conquistando fama universale, copertine di tutti i magazine, interviste televisive a iosa e ammirazione di tutte le ragazze di Francia, e non solo, di cui diventa 'il modello'.
Del film piace molto la cura con cui sono ricostruite un'epoca e un'atmosfera che a noi oggi sembrano preistoria, a partire dalla fotografia, dalle acconciature, dai vestiti d'epoca, ma il riferimento è chiaramente anche cinematografico e alla rinfusa vengono in mente le star dell'epoca della commedia americana e in parte europea, da Kim Novak a Doris Day (persino), fino all'inimitabile per eccellenza, Audrey Hepburn. Ci sono infatti varie citazioni da cinefilo nel film e in certi momenti sembra davvero di riviverli quegli anni ancora ingenui che preludevano a grandi rivoluzioni, per esempio quando si mostrano le copertine di 'Paris Match' o quando si balla (anche in Francia, sì, anzi proprio lì) il celebre 'Cha Cha della segretaria'.
Il limite è invece quello che poi il tema non viene sviluppato in pieno, perché tutta l'attenzione si concentra, per gran parte dell'opera, sul complicatissimo intreccio sentimentale fra Louis e Rose (e anzi l'happy end sembra a un certo punto un po' di maniera rispetto a un rapporto 'poco scontato') e soprattutto sulle gare di dattilografia, ricostruite con un'accuratezza e un gusto ammirevoli ma magari 'eccessivi' rispetto alla voglia di rappresentare l'epoca nella sua interezza.
Guasta infine il sapore tutto sportivo che finisce per avere il film, visto che in certi momenti sembra di stare a una gara olimpica e la vittoria della Francia sugli Stati Uniti finisce per sembrare quasi la classica rivincita della grandeur d'Oltralpe sul resto del mondo. Al botteghino francese naturalmente, il film è andato benissimo e ha vinto diversi Césars (i David di Donatello francesi).
Sono però difetti (a nostro parere) 'minori' che non impediscono di gustarsi in pieno il film, che in originale aveva il titolo 'Populaire', ovvero proprio quello della marca di macchine da scrivere che in Francia è stata sinonimo di modernità, inizio dell'era del consumismo e anche nuova condizione femminile, come si diceva (un po' la nostra Olivetti, anzi qualcosa di più, sicuramente, senza gli intellettualismi associati da noi, allora, all'azienda di Ivrea).
Il regista Régis Roinsard è al suo primo lungometraggio (prima aveva fatto solo pubblicità e videoclip) ma se la cava molto bene, coadiuvato da un bel cast: Rose è la belga Déborah François, tutta frangia bionda e determinazione, Louis ha il bel volto 'complesso' di Romain Duris, che qualcuno ricorderà, più giovane ma ugualmente 'tormentato', nella saga di 'L'appartamento spagnolo'.
Non basta: ci sono anche Bérénice Bejo, che in 'The Artist' era stata protagonista e qui accetta di fare la comprimaria, e (per chi ama ricordare altri anni, anche in Italia) la rediviva (per noi) Miou-Miou.
Distribuito dalla Bim, il film conferma che il cinema francese è in grado di sfornare successi anche d'esportazione, film apprezzati dunque anche all'estero. Era già avvenuto tempo fa con 'Amelie' ed è accaduto ancora con il particolare 'Quasi amici'. Proprio quello che manca in Italia, dove i bei film in fondo ci sono ma mancano in genere un po' la voglia e un po' la strategia per farli conoscere fuori dai nostri confini.