Il nuovo film di Giorgio Diritti, come sempre molto meditato e profondo, incanta soprattutto per la bellezza dei paesaggi, quelli dell’Amazzonia brasiliana. Jasmine Trinca va lì alla ricerca di se stessa.

In certi momenti la suggestione è tale che il film sembra quasi - sia detto senza nessun intento offensivo - il migliore spot promozionale, a fini turistici, che il Brasile potesse fare per promuovere la sua (non solo sua, per la verità) immensa e splendida Amazzonia. Un luogo della terra dove a dominare la scena - con un senso di maestosità, bellezza, potenza e anche di 'infinito' - è la sola natura, anche se anche qui l'uomo ha già iniziato a contaminare, modificare, porre chiare tracce della sua presenza (troppo) attiva.
Dato che l'Amazzonia ispira anche, come è ovvio, nell'uomo riflessioni esistenziali profonde e sentimenti religiosi, la presenza del cattolicesimo è molto forte nell'area e ci sono chiese e missionari, impegnati nel diffondere il 'cristianesimo vero' fra gli indios, pur in presenza di tentazioni di tipo diverso (predicatori e sette di vario tipo). Ma ecco che anche speculazioni e affarismo provano a mescolarsi alla religione e assieme alle chiese si progettano alberghi di lusso e resort, vista spiaggia.
La città di Manaus, poi, riassume in sé tutte le contraddizioni presenti nell'area: si trova ai lati di una meravigliosa foresta incontaminata, popolata da tantissime specie e forme di vita, è attraversata dal meraviglioso e maestoso Rio Negro, che è oltrepassato a un certo punto, per tutta la sua formidabile lunghezza, da un moderno ed elegantissimo ponte. Simbolo del 'moderno e potente Brasile', il ponte unisce due realtà, sulle due rive opposte, che più diverse non potrebbero essere: da una parte c'è un derelitto villaggio di palafitte, abitato da povera gente che ha però ancora un fortissimo senso di dignità e di comunità (c'è anche una 'Radio del villaggio') e vive in maniera tradizionale, con i suoi valori, i suoi usi e costumi, la sua religiosità, con i (molti) figli visti ancora come ricchezza.
Dall'altra parte del Rio c'è invece una vera metropoli moderna, con la sua Sky Line, negozi e tecnologie, shopping ed eleganza, dove si vive come in una qualsiasi grande città del mondo, con il denaro quale vero valore. Simbolo dell'“altra Amazzonia” nel film è una splendida palestra con piscina, trastullo sconosciuto e estraneo agli abitanti della favela sul Rio ma anche occasione di lavoro e di un qualche guadagno per gente che non riesce più a far fronte alle emergenze di ogni giorno (fino ad arrivare, in un caso estremo, all'aberrazione di vendere i propri figli per raccattare un po' di denaro).
Siccome però in Amazzonia è la natura (finché l'uomo non penserà davvero di essere il protagonista anche qui) a farla da padrona, basta allontanarsi per un po' di chilometri e si trova tutt'altro: foresta vergine, fiumi meravigliosi, pescosi e che si distendono a perdita d'occhio, spiagge fluviali di una bellezza così struggente da far impallidire qualsiasi costa delle nostre parti, affollata di turisti. Qui ci si può rifugiare, volendo, per provare a individuare il senso della vita, per una riflessione esistenziale, per andare alla ricerca di se stessi.
È proprio quel che finisce per fare Augusta, la protagonista del film di Giorgio Diritti, una bella ragazza poco più che trentenne, che ha lasciato la lontana Italia dopo aver perso assieme la possibilità di fare figli e, di conseguenza, anche il marito, che l'ha abbandonata. Augusta ha perso anche il padre, mentre la madre, rimasta vedova, non ce la fa quasi più ad 'aprirsi al mondo' e riesce a stento ad occuparsi della sua anziana madre, ormai in preda agli acciacchi dell'età avanzata.
Quella figlia lontana e sola, poi, è un altro cruccio, ma lei, pur angosciata e colpita, non sembra volerla forzare a tornare per forza.
Augusta attraversa tutta la realtà dell'Amazzonia, riflettendo sull'esistenza e sulla religione, ma aprendosi anche al rapporto con la gente di Manaus (quella della favela sul Rio, beninteso), di cui diventa parte integrante, vivendo la loro stessa vita. Ma quando anche un primo possibile brivido sentimentale si trasforma in cocente delusione, perché la battaglia per preservare l'integrità degli abitanti delle palafitte sembra perduta di fonte alla potenza del denaro, Augusta lascia tutto e si rifugia nella solitudine del fiume, situazione voluta ma dolorosa da cui però vengono a toglierla per un attimo l'innocenza e la spontaneità di un bambino, sfuggito alla sorveglianza dei genitori, che le ridà il senso della maternità perduta.
Si è detto della potenza del paesaggio che da sola 'fa il film' (che potrebbe dunque anche essere un impagabile documentario) ma Diritti a questo aggiunge la sua grande bravura nel costruire le scene e nel muovere pian piano la macchina da presa, con un'intensità che commuove, restituendo il senso di un'opera che riesce ad essere una attenta riflessione sulla natura e la condizione umane. Non sono film “d'azione” quelli di Diritti, ma pellicole giustamente 'lente', anche se poi raccontano bene delle storie; il suo, per capirci, è un cinema che vuol essere attento, consapevole, pieno di significato: ogni inquadratura è studiata e mai casuale, i personaggi riflettono con noi sulla loro situazione, sul senso delle cose e degli avvenimenti.
E da Diritti non ci si può neppure aspettare un film all'anno, il suo è un cinema che ama la cura del dettaglio, che sembra privilegiare appunto un po' di lentezza come valore, che cerca storie significative che valga la pena di raccontare. Diritti, per essere ancora più precisi, unisce storie individuali e collettive; la comunità umana è un valore per lui e basta pensare ai suoi film finora usciti per capirlo: la comunità isolata sui monti della Val Maira ne 'Il vento fa il suo giro' (incredibile successo al cinema Mexico di Milano che ha 'creato' un po' il mito di Diritti) che mal sopporta la presenza di 'diversi ed estranei'; la comunità contadina degli abitanti di Marzabotto-Monte Sole che viene sconvolta e distrutta dai nazisti (stavolta sui colli della natia Bologna) in 'L'uomo che verrà'.
Insomma, quello di Diritti è un vero 'cinema d'autore' che non si piega a mode e generi e questo è il senso della volontà di approfondire persone, luoghi e situazioni in zone così diverse del mondo (nel caso dell'Amazzonia un difetto, forse, è la rappresentazione della popolazione indigena con un'indulgenza che può sembrare eccessiva, in cui, insomma, bontà e innocenza regnano magari fin troppo sovrane).
Jasmine Trinca si cala con la dovuta convinzione in questo tipo di film e senza perdere grazia e bellezza, riesce ad adeguarsi alla volontà di Diritti, accettando di girare sui luoghi 'veri' e di confrontarsi con situazioni affascinanti e coinvolgenti ma certamente 'al limite', ben diverse da quelle dei normali set o delle location più comode e consolidate.
Proprio per questo la parte meno riuscita del film (prodotto da Aranciafilm, Lumière & Co. e Groupe Deux, in collaborazione con Rai Cinema) è quella 'italiana', girata in buona parte sulle nevi del Trentino (c'entra infatti la locale Film Commission), che non riesce a 'tenere il passo' con le suggestioni brasiliane.
Alla fine, oltre alle acute riflessioni sulla vita e la religione, del film ti resta l'incanto dei luoghi, della gente e delle sue 'meraviglie': anche le piogge torrenziali e improvvise, il magnifico battello 'Itinerante', che sembra in piccolo quello del Mississipi, il fluire lento della canoa (o giù di lì) su cui Augusta va a cercare la solitudine sul Rio Negro.
E se tutto questo non vi bastasse, restano anche la musicalità e la bellezza del portoghese, lingua a noi troppo poco nota, che si dimostra in grado a sua volta di affascinare e conquistare il pubblico.
Gli spettatori troveranno in questo film anche un'originale riflessione sui media elettronici, Radio, Televisione e telefonia, che si ritagliano piccoli ma significativi ruoli all'interno della pacata ma inarrestabile narrazione di Diritti.
La Radio, utilizzata in forma artigianale "a circuito chiuso" all'interno delle favela (come accennato), serve a creare coesione tra gli abitanti di questo precario insediamento urbano, per esempio facendo la "radiocronaca" delle partite di calcio nel polveroso (o melmoso, in base alle stagioni) campetto di fortuna, allestito al centro della baraccopoli, oppure informando i cittadini su eventi che riguardano la comunità. Allo stesso modo però la Radio della favela viene individuata dagli speculatori come strumento decisivo (insieme al denaro) nel processo di convincimento degli abitanti a lasciare le baracche per consentire la costruzione del centro turistico.
La Televisione, in un altro momento del film, appare come strumento portatore di persuasione religiosa, molto più potente dei missionari in carne ed ossa e che ad essi si sovrappone annullandoli (il primo-piano Tv di un telepredicatore serve a scacciare la missionaria da una piccola comunità sperduta sulle rive del Rio delle Amazzoni).
Il telefono cellulare infine, attraverso l'uso degli SMS (e in una sola occasione del VOIP di Skype), rappresenta la distanza siderale nella comunicazione tra madre e figlia, che non hanno davvero niente da dirsi (o che almeno non riescono a comunicare, indipendentemente dalla distanza che intercorre tra loro).
Ecco, anche in questa storia dove trionfano acqua, aria, terra, fuoco e spirito, esce un forte messaggio di attenzione sull'uso che si fa degli strumenti di comunicazione che, nel bene e nel male, sono sempre e comunque molto potenti.