A fine marzo sono state annunciate le candidature ai David di Donatello 2016 (gli Oscar del cinema italiano, quest'anno per la prima volta messi in onda da Sky) e tra lo stupore generale due film non esattamente “mainstream” hanno ottenuto il maggior numero di candidature, ben sedici. Si tratta di “Non essere cattivo” di Claudio Caligari (qui la recensione di Millecanali) e “Lo chiamavano Jeeg Robot” di Gabriele Mainetti. Alla consegna dei premi, il 18 aprile, proprio il film di Mainetti ha fatto incetta di riconoscimenti: miglior regista esordiente, migliore attore e migliore attrice protagonista, migliore attore e attrice non protagonista, miglior produttore, miglior montatore.
Quest’ultima pellicola ha avuto una gestazione molto lunga e particolare. La prima stesura del soggetto risale al 2010 e il regista Gabriele Mainetti ha provato a proporlo a tutti i produttori italiani per circa cinque anni, fino a quando ha deciso di autoprodurlo con la sua casa di produzione la Goon Films, grazie anche al sostegno di Rai Cinema e Lucky Red.
La difficoltà nel reperire finanziamenti è sicuramente derivata dalla sceneggiatura del film, che si basa sulle avventure di un supereroe in un quartiere popolare di Roma. Non deve essere stato facile cercare di convincere dei produttori italiani ad investire in un “cinecomic”, tra l’altro diretto da un regista alla sua prima prova sulla ‘lunga distanza’.
Proprio la storia professionale del regista Gabriele Mainetti fornisce molti spunti interessanti. Bravo attore di Tv e cinema, Mainetti non è mai riuscito a sfondare definitivamente come interprete ma ha sempre mostrato una grande passione per la regia. Nel 2008 gira il cortometraggio ‘Basette’, che si ispira al manga Lupin III, progetto in cui coinvolge diversi amici attori, tra cui Valerio Mastandrea, Marco Giallini, Daniele Liotti, Flavio Insinna e Luisa Ranieri. Il corto ottiene un insperato successo e vince diversi premi in vari festival.
Forte dell’apprezzamento ricevuto per ‘Basette’, nel 2012 realizza un nuovo cortometraggio dal titolo “Tiger Boy”, anch’esso ispirato all’immaginario manga giapponese ed in particolare al lottatore “Uomo Tigre”. Questa volta il successo è ancora più grande, il film vince premi anche all’estero, viene nominato ai David di Donatello e addirittura entra nei dieci finalisti per la nomination all’Oscar 2014, non riuscendo però ad arrivare alla shortlist finale. Quest’ultimo riconoscimento, secondo il regista, ha convinto la Rai a supportare la Goon Films nella produzione del suo primo lungometraggio.
“Lo chiamavano Jeeg Robot” rappresenta qualcosa di unico nel panorama del cinema italiano. Si tratta della storia di un ladruncolo romano, Enzo Ceccotti (interpretato da Claudio Santamaria), che per un incidente entra in contatto con delle sostanze radioattive e si ritrova ad avere una forza sovrumana ed essere praticamente invulnerabile. Inizialmente utilizza questi suoi poteri per delinquere ma poi, grazie all’incontro con Alessia, sua vicina di casa e figlia di un suo “collega”, capisce che è più giusto usare le sue doti per combattere il crimine.
Uno degli aspetti più importanti della storia è l’origine dell’eroe: Enzo è un delinquente che passa il suo tempo tra furti e film porno vivendo in una casa fatiscente senza amici né interessi. Sicuramente non capita spesso che una persona così infima si trasformi in un eroe positivo. Molto meno originale sembrerebbe il ruolo dell’amore come fonte di redenzione, se non fosse che in questo caso la protagonista è una ragazza con gravi problemi psichici, convinta che Enzo sia il Jeeg Robot dell’omonimo anime giapponese (da qui il titolo del film).
A completare il quadro ci si mette un cattivo completamente fuori dall’ordinario, che alterna momenti di rara crudeltà a spassose esibizioni in cover di canzoni italiane anni ’80, originariamente interpretate da voci femminili.
Tutti e tre gli attori protagonisti sono molto bravi, ma una menzione particolare va a Luca Marinelli per la sua straordinaria interpretazione del giovane boss di quartiere alla ricerca del salto di qualità. Lo “Zingaro” è profondamente credibile nel suo squilibrio, sa essere cattivo e senza pietà, ma anche intimorito e quasi tenero. Il suo mix di ironia e follia ricorda da vicino il Joker del compianto Heath Ledger nel primo film della trilogia del ‘Batman’ di Nolan (che gli valse l’Oscar). L’analogia risulta ancora più azzeccata se si pensa che di quel Batman Santamaria fu il doppiatore italiano.
Altro fattore molto interessante è la caratterizzazione locale e molto popolare dei personaggi. Alcuni critici hanno storto il naso ritenendo che questa provincializzazione, esplicitata in un abbondante uso del dialetto, avrebbe potuto limitare il successo e l’esportabilità della pellicola. In realtà anche questo elemento contribuisce a rendere la storia credibile e originale.
Un plauso va fatto al montaggio e agli effetti speciali. Con un budget di soli 1,7 milioni di Euro si è riusciti a girare un vero cinecomic, utilizzando in maniera intelligente gli effetti visivi e creando scene di lotta avvincenti e molto ben realizzate. L’impresa non deve essere stata delle più semplici. Basti pensare al disastro fatto nella battaglia finale del recente “Batman v Supeman” in cui il pesante e confusionario utilizzo della computer grafica rende addirittura difficile distinguere i vari personaggi. Eppure quei pochi minuti hanno assorbito buona parte dei 250 milioni di dollari spesi per quella pellicola.
“Lo chiamavano Jeeg Robot” è un film da vedere assolutamente. Adrenalinico e coinvolgente, è riuscito a mettere d’accordo la critica entusiasta con il pubblico che gli sta garantendo inattesi ottimi incassi. In particolare bisogna lodare il coraggio del giovane regista nel proporre un genere diverso rispetto ai soliti canoni del cinema italiano, spesso compresso tra le commedie brillanti e i drammoni strappalacrime.
Questo film è il super-eroe che noi, amanti del Cinema, aspettavamo da tanto tempo. E’ il vero manifesto di questa incredibile rinascita. Non è un semplice cinecomic, ma un mix di generi incredibile gestito in una maniera PERFETTA. Bravo Mainetti, che tra le altre cose ci ha messo un sacco di suo, anche a livello economico. Bravi tutti gli attori, soprattutto Ilenia Pastorelli che ha avuto il coraggio di mettersi in gioco ed ha cacciato una prestazione incredibile.
Qui, se vi va, date un’occhiata alla mia recensione riguardo “Lo chiamavano Jeeg Robot” 😀
http://mgrexperience.blogspot.it/2016/04/lo-chiamavano-jeeg-robot-di-gabriele.html