Le notizie sono state diffuse dall’agenzia MF-Dow Jones e da ‘Milano Finanza’.
ReteCapri - lo ricordiamo - è una delle emittenti locali private italiane più note. Nata nel 1977, si è via via radicata nelle regioni del Sud Italia anche grazie alla qualifica, ottenuta negli anni ‘90, di concessionario nazionale del segnale televisivo, che ha fatto occupare al canale (pur fra molte proteste, perché è stata penalizzata rispetto alle altre reti nazionali) il tasto 20 sul telecomando, fra i più ambiti da chi vuole entrare nel mercato italiano della Tv.
Ma i bassi risultati di share (0,04% a novembre) e la difficoltà a imporsi all'attenzione nazionale, soprattutto in questi ultimi anni di boom delle emittenti tematiche hanno portato la Television Broadcasting System (cui fa capo anche ReteCapri) di Costantino Federico (più volte sindaco di Capri) a una situazione di tensione finanziaria, nell'ambito della quale i debiti con il Fisco hanno superato quota 12 milioni di euro. Così il network campano di recente ha chiesto al Tribunale di Napoli l'ammissione al concordato preventivo in continuità, con un passivo complessivo di 20,14 milioni.
Per far fronte a questa esposizione il patron di ReteCapri e Tbs è pronto a privarsi di gran parte degli assets: un patrimonio di canali, frequenze e impianti valutato 48,7 milioni di euro dal perito Marco Gambaro (docente dell'Università Statale di Milano).
Sul mercato dunque starebbe per finire l’ambito canale 20 (ReteCapri), che vale 10 milioni. E in vendita stanno per essere messi anche Neko Tv (canale 45), Capri Gourmet (55), RadioCapri on Tv (66), CapriStore (122), Capri Casinò (149) e Capri Fashion (247).
In vendita inoltre finirebbero anche le frequenze in concessione all’operatore del gruppo, valutate 23 milioni, e un portafoglio immobiliare (tra cui la sede del polo Tv) che vale più di 10 milioni.
L’obiettivo di Costantino Federico, imprenditore caprese la cui famiglia controlla e gestisce due alberghi sull’isola, è quello di ripagare i debiti, attraverso le cessioni da completare entro due o tre anni, e ripartire con il business televisivo, magari con un perimetro d’attività più limitato. Anche perché, come si legge nel faldone presentato in tribunale per il concordato, “eliminare ReteCapri significa eliminare l’unica voce del Sud, perdere centinaia di posti di lavoro e una testimonianza del lavoro, dell’imprenditoria meridionale e della sua cultura”. La Tv, si legge ancora, “può dare voce al Mezzogiorno, ma è evidente che tale prospettiva non è gradita e non apprezzata dai signori del monopolio televisivo nazionale e internazionale”.