Riforma Rai: il Senato approva, con affanno

 

Dicevamo nei giorni scorsi da una parte che la legge di riforma della governance Rai, pur così ‘modesta’ nei suoi contenuti reali, costituiva per il Parlamento materia altamente sensibile e che dunque la navigazione del provvedimento in un Senato dalla fragile maggioranza per Renzi (nonostante il preannunciato soccorso del gruppo di Verdini) poteva riservare sorprese (anche alla Camera in  settembre, peraltro, non saranno solo rose e fiori, probabilmente), dall’altra che c’era stato uno strano silenzio della minoranza PD, che aveva commentato poco la legge, anche se su quasi tutto il resto dell’operato di Renzi aveva avuto invece da ridire.

Ieri l’incidente di percorso che sembra proprio essere stato un ‘segnale’ appunto della minoranza PD a Renzi, con la bocciatura di un punto affatto secondario del provvedimento, la delega sul canone al Governo. Lasciare all’Esecutivo una forte discrezionalità in tema di risorse del servizio pubblico è sembrato alla maggioranza del Senato (o almeno dei senatori votanti in quel momento) una cosa non opportuna e il punto è stato accantonato (poi magari il Governo ci riproverà alla Camera, ma l’esito non è scontato).

Il Governo, dunque, è andato sotto in tema di Rai e la cosa si presta a varie analisi, sia in senso specifico (quando si tratta di Rai, si diceva, il Parlamento ‘si agita’ parecchio, sempre) sia in un senso politico più generale (la partita fra Renzi e la minoranza del suo partito dovrà pur arrivare a un qualche esito definitivo, prima o poi).

Comunque sia, la debolezza del presidente del Consiglio e segretario del PD sembra evidente (nonostante qualcuno giuri che si tornerà al 40%): la legge, pur molto poco ‘rivoluzionaria’, è stata ulteriormente ‘annacquata’ nei suoi intenti di cambiamento (a favore dell’Esecutivo, s’intende), perché poi il sottosegretario Giacomelli ha trattato per  consentirne l’approvazione a Palazzo Madama nei tempi previsti (31 luglio). Così l’altra delega al Governo sul riordino legislativo in materia di Tv è stata riformulata e su qualche altro punto sono stati accettati emendamenti.

Il risultato è stato che poi l’approvazione, complice l’imminenza delle ferie, è arrivata davvero oggi ma la partita si riaprirà a Montecitorio dopo l’estate e non è detto che si vada avanti rapidamente, anzi. Una modifica che reintroduca, per esempio, la delega sul canone comporterebbe il ritorno al Senato e qui potrebbero di nuovo essere dolori.

 

Di fronte a tutte queste incertezze Renzi ha fatto ricorso all’ipotesi B (scartando l’idea del decreto, che poteva trovare ostacoli, magari anche al Quirinale), ovvero la nomina del Cda con la composizione  e le modalità previste dalla Legge Gasparri, un’idea già un po’ bizzarra in sé ma che poi trova l’apice dell’incongruenza nell’emendamento introdotto al Senato per cui si nomineranno degli amministratori che poi dovrebbero agire sulla base dei poteri loro conferiti da una legge approvata successivamente (quella appena licenziata dal Senato, appunto). Sembra un percorso a ostacoli e una ‘vera acrobazia’ dal punto di vista legislativo ma Renzi ci prova lo stesso, cercando comunque di far passare l’idea che il direttore generale che sarà designato a breve sia in realtà l‘AD che lui voleva e che avrà perciò poteri ‘forti’ (a vantaggio dell’influenza dell’Esecutivo su Viale Mazzini). Una partita che lascia da parte la pretesa di mandare i partiti fuori dalla Rai e si gioca invece tutta proprio sul piano politico-partitico e di potere.

 

La Vigilanza, a maggioranza e con la contrarietà del presidente Fico, è dunque convocata per martedì prossimo e procederà alla nomina dei sette membri del Cda di sua spettanza (non ne potremo riferire causa chiusura della redazione per le ferie di agosto) e, a parte i nomi, si sta ragionando sul ‘bilancino’ fra i consiglieri ‘graditi’ al PD e quelli che in qualche modo ‘rappresenteranno’ le altre forze politiche. L’ottavo e il nono membro del Cda Rai sono scelti dal Governo (il Ministero dell’Economia è azionista al 99.56% della Rai) ma se uno rappresenta appunto il Ministero, l’altro viene designato anche quale presidente proposto, ma la nomina deve poi ottenere un voto favorevole dai due terzi della Vigilanza. Al tempo stesso, anche se ‘informalmente’ il Governo propone contestualmente un Direttore Generale, che deve ottenere un minimo di consenso sia dalle forze politiche che dal Cda Rai, che formalmente procede alla nomina.

All’inizio di agosto potremmo così avere un nuovo gruppo dirigente per la Rai, essendo i vertici precedenti largamente scaduti.

La partita della Tv pubblica per il mondo politico (e non solo) sarà però solo all’inizio.

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