Il nuovo Cda di Radio Televizija Srbije ha diffuso un comunicato che riconosce il proprio ruolo nella propaganda del regime di Milosevic che contribuì ad alimentare il conflitto balcanico. Proprio in contemporanea con l’arresto di Mladic.
L'ironia della sorte ha voluto che lunedì 23 maggio, tre giorni prima della cattura di Ratko Maldic nel villaggio di Lazarevo ad un'ottantina di chilometri da Belgrado, il nuovo Cda della Tv pubblica serba Rts (Radio Televizija Srbije) diffondesse un comunicato, un mea culpa sul ruolo propagandistico della stessa Rts nel periodo dell'ultima guerra balcanica. Forte il passaggio finale della nota (diffusa sul sito di Rts) nel quale il nuovoCcda si scusa “con tutti quei cittadini serbi e dei Paesi confinanti che sono stati oggetto di offese, calunnie o altro contenuto che potrebbe oggi essere definito come istigazione all'odio e che sono stati trasmessi all'interno dei programmi dell'emittente pubblica durante gli anni '90”.
Il comunicato prosegue così: “Durante i tristi eventi degli anni Novanta, la Rts ha più volte offeso coi suoi contenuti i sentimenti, l'integrità morale e la dignità dei cittadini serbi, di intellettuali umanitari, di membri dell'opposizione politica, di giornalisti critici, di singole minoranze all'interno della Serbia, minoranze religiose, come anche singoli popoli e Stati confinanti”.
Un gesto forse tardivo ma che affronta un tema difficile per il popolo serbo, che sembra ancora lontano dal voler fare i conti con il proprio passato, preso da una difficile crisi economica, un elevato tasso di disoccupazione, profughi di guerra mai rientrati nelle loro case e forti rigurgiti di nazionalismo che hanno portato a scrivere sul cartello all'ingresso della piccola Lazarevo “Mladic Eroj” (“Mladic Eroe”). Ma soprattutto un gesto dovuto, perché la guerra, prima che sui confini tra i Paesi della ex Jugoslavia già a fine anni Ottanta è stata fatta sulle Televisioni di quei Paesi.
Per una Tv e una Radio pubblica di propaganda a Belgrado che già sognava la Grande Serbia c'erano anche quelle degli altri (futuri) stati jugoslavi, intente a trasmettere deliranti servizi contro un nemico che fino al giorno prima viveva tranquillamente entro gli stessi confini. Se durante la guerra c'era Telezagabria 1 che nel suo programma “Linea del fronte” forniva ogni giorno 15 minuti di insegnamento su come costruirsi un'efficace bomba fatta in casa, la Tv e la Radio serba non si facevano problemi nell'umiliare e licenziare i propri giornalisti non allineati.
Azra Nuhefendic (il cui nome rivela appartenenza alla comunità musulmana, considerata una colpa durante la guerra), per fare un esempio, giornalista di Radio Belgrado negli anni '90, e oggi collaboratrice di testate italiane come' Il Piccolo' di Trieste, non era nella lista di centinaia di giornalisti considerati politicamente “indesiderabili” e per questo licenziati dalle emittenti serbe. Però era stata inserita nell'elenco stilato dagli estremisti guidati da Voijslav Seselj, al quale appartenevano 30 giornalisti “traditori della patria”.
Le reazioni critiche alla dichiarazione inattesa del Cda di Rts non sono mancate. L'Unione indipendente dei giornalisti della Serbia, la comunità islamica in Serbia e i liberaldemocratici dell'Lpd hanno considerato le scuse un gesto debole, oltre che tardivo, mentre buona parte dei serbi, soprattutto quelli delle zone rurali o dei centri al confino con il Kosovo, continuano a ritenere Rts e la Serbia non colpevoli di nulla. Si ostinano, a loro volta vittime di un lento e metodico lavoro propagandistico durato decenni, a sentirsi ed atteggiarsi a “vittime” dell'Occidente e ad evocare i bombardamenti alla Tv pubblica durante la guerra in Kosovo.
A questo proposito vale la pena di ricordare un passo del libro di Ennio Remondino, corrispondente per la Rai dai Balcani, dal titolo “La televisione va alla guerra”. Ecco cosa scrive Remondino a pagina 169, riguardo ad un suo colloquio con Boban, il tecnico serbo che lo seguiva per riversare i servizi inviati in Italia dalla sede belgradese di Rts.
«A capire qualche cosa in anticipo fu anche Boban che, giorni dopo, tornato dalla televisione dopo il riversamento di qualche servizio annunciò qualche cosa di grave chiudendosi la porta della mia stanza alle spalle. “Stanno per bombardare la televisione”, attacca Boban. In Serbia le leggende corrono molto più veloci dei fatti e, in genere, non è il caso di agitarsi al primo allarme.
“Te lo ha telefonato Clark?”. “No, me lo hanno detto Blair e Clinton direttamente. La Bbc e la Cnn e tutti gli americani e gli inglesi hanno disdetto i satelliti e i riversamenti da questa sera” (…).
Quella sera andammo in Ulica Albaradeva col cuore in gola (…). Alla Rts il solito ambiente lugubre. Con poca gente attorno: Boban faceva il suo dalla regia, coordinando al telefono con Roma, e io facevo la mia parte al microfono. Eiar, sullo sfondo della scenografia Milosevic. Tutti e due a dire rispettivamente ai nostri amici tecnici attorno che stavano per bombardarli. “Non state qui. Chiudete. Da domani andate nei rifugi” (…).
Erano le 2 e 7 minuti del 23 quando il primo missile Cruise con una tonnellata di tritolo nella testata si è infilato fra le antenne di Ulica Albaradeva (… ).
Le vittime, dopo una notte di scavi, si scoprì che erano 16, tutti programmisti, tecnici, impiegati e guardiani. I trombettieri di regime ovviamente non c'erano. Comandati in servizio erano solo il personale tecnico e i curatori della fascia notturna e qualche precario cui il regime impose di immolarsi con il ricatto di un tozzo di pane».
Chissà che fra qualche tempo qualche nuovo manager “illuminato” alla Tv serba, o lo stesso presidente serbo Boris Tadic che dopo la cattura di Mladic si è affrettato a chiedere un posto per la Serbia nella UE, non faccia il mea culpa anche per quei 16 morti.