L'industria televisiva italiana, seppur lentamente, è in continuo cambiamento: il progresso tecnologico, i gusti del pubblico, il successo e la scomparsa di alcuni generi e di format sono le variabili che influenzano questo processo. Le professioni seguono di pari passo: ne nascono di nuove, altre spariscono, altre ancora mutano pelle e diventano qualcosa di diverso. È il caso, quest'ultimo, della figura del montatore, passato negli ultimi anni da un ruolo per lo più tecnico a vero e proprio perno creativo per la costruzione dei contenuti. Abbiamo incontrato Enrico Marchese, 46 anni, Supervising Editor e Story Editor in Magnolia, che di questo passaggio è stato ed è un osservatore e un protagonista.

Bolognese, laureato in Filosofia, Enrico Marchese è Supervising Editor e Story Editor in Magnolia. Tra gli altri, è stato Editor in Chief di Masterchef, Bake Off, il Day Time di XFactor. Ha inoltre diretto e montato diversi documentari, vincendo premi all’estero e in Italia. Dal 2010 insegna presso IED
Che cos'è successo alla tua professione?
È mutata, sicuramente. Negli ultimi anni si è affermata una generazione di montatori che partecipano attivamente alla costruzione dei contenuti, con funzioni molto simili a quelle di coloro che gli anglosassoni chiamano Story Editor.
Quali sono le cause del cambiamento?
Essenzialmente sono due, connesse tra loro. In primo luogo l'evoluzione tecnologica: il passaggio al digitale ha consentito di registrare molte più ore con costi contenuti rispetto all’era analogica. Questo però ha fatto sì che molti autori e registi si siano sentiti “alleggeriti” di alcune responsabilità e si arrivi in montaggio con una mole di materiale che è compito soprattutto dell'editor districare. In secondo luogo è cambiato il broadcast televisivo internazionale, e la maggioranza dei format moderni devono la loro identità più profonda al lavoro che si fa in post-produzione. Non voglio dire che il merito sia solo dei montatori ma è un dato di fatto che di ciò che si vede in onda tantissimo è dovuto al loro lavoro.
I cambiamenti sono solo positivi?
Siamo stati spinti a portare la professione ad alti livelli di creatività e ora in Italia ci sono editor davvero eccezionali. Il risvolto della medaglia è che ora l'approccio di tante produzioni è “intanto giriamo e poi vedremo in montaggio cosa fare”, per cui spesso l'editor non può concentrarsi solo nella valorizzazione del materiale ma perdere giorni a mettere pezze a problemi a volte anche gravi nati sul set. Se l'asse della produzione si sposta verso la post, con l'idea che lì si aggiusti tutto, autori e registi si sentono spesso sollevati da compiti che rimangono invece di loro pertinenza. La post-produzione è il passaggio finale per cui un editor non può permettersi errori che pregiudicherebbero la messa in onda e sarebbero facilmente smascherabili perché immediatamente visibili, mentre eventuali “sviste” avvenute nelle fasi precedenti possono sempre essere, almeno in parte, nascoste e recuperate.
Ma è vero che “tanto si salva tutto in montaggio”?
Si salva solo nel senso che, alla fine, si va sempre in onda. Però si potrebbe fare davvero di meglio, a tutti i livelli.
Quali sono le qualità più importanti per un editor?
Serve una competenza tecnica di base per lavorare come avviene oggi, ovvero in condivisione: una volta il montatore era isolato nella sua postazione, mentre ora il 95% dei format viene post prodotto su sistemi basati sulla condivisione multipiattaforma di progetti e file. Un editor non preparato può pregiudicare la qualità o addirittura la consegna finale di un prodotto. Da un punto di vista creativo un bravo editor deve avere una cultura audiovisiva il più possibile ampia, conoscere il cinema, il suo linguaggio e la sua storia. Deve avere un’ampia cultura musicale perché la musica è diventata parte integrante della narrazione. Deve conoscere la televisione e i suoi generi.
La maggiore responsabilità ha avuto un riconoscimento in termini di immagine ed economici?
L’importanza del ruolo viene implicitamente riconosciuta quando le produzioni più importanti fanno molta attenzione alla squadra di montatori da scegliere, perché sanno che una buona riuscita dipende molto dalla bravura di chi monterà il programma. Vengono cercate figure che facciano da garante e che in Italia vengono chiamati “editor finalizzatori”. Da un punto di vista economico un bravo editor riconosciuto come tale e quindi richiesto sul mercato riesce spesso a spuntare un buon compenso anche se mi risulta che, rispetto a Milano dove lavoro, a Roma la situazione dei miei colleghi sia più difficile. A livello di immagine rimaniamo abbastanza nascosti al grande pubblico che non sa nemmeno cosa facciamo esattamente.
Per il pubblico medio è difficile giudicare il montaggio di un programma. Per te quando un programma è ben montato?
Il giudizio è molto soggettivo: uno stile di montaggio che a me non piace non significa che non debba piacere ad altri. Diciamo che ho una regola di fondo per valutare se un lavoro è stato fatto bene, e la dico con una citazione. Nell’Orfeo di Cocteau il poeta chiede: “Cosa devo fare?” e la risposta è “Stupiscimi!” . Ci sono colleghi che riescono ancora a stupirmi per come hanno svolto un passaggio narrativo o per una scelta musicale. Un pezzo è invece montato male se non crea nessuno scarto rispetto all'usuale, se non apre una finestra su qualcosa che non avevo immaginato.
È solo demerito del montatore o anche di chi richiede che i prodotti non siano mai troppo originali?
Spesso sono le reti o le case di produzione a chiedere prodotti abbastanza standardizzati perché hanno paura di fare bassi ascolti. Faccio un esempio: stavo lavorando alla prima edizione di Masterchef e in una delle ultime puntate il regista aveva fatto delle riprese con il braccio girando dei lenti e lunghi movimenti sui pochi concorrenti rimasti. Mi venne l’idea di montare tutta la fase finale della gara usando non una musica incalzante bensì un valzer di Shostakovich, utilizzandolo per intero. Il tutto montato in modo “lento”, con “interminabili” secondi tra uno stacco e un altro. Il curatore editoriale si spaventò, disse che “volavo troppo alto” e iniziammo un braccio di ferro che vinsi solo per sfinimento suo. Il giorno dopo la messa in onda diversi commenti positivi alla puntata sui social si concentravano proprio su quel momento.
Un momento di vera creatività?
Anche se stiamo parlando di un programma di intrattenimento, e non certo di un capolavoro del cinema, lo ricordo come un momento in cui ho tirato fuori qualcosa di me, delle mie passioni e riferimenti artistici e culturali. A mio parere un bravo editor dovrebbe sempre cercare di dare una propria impronta al programma su cui sta lavorando. Anche se fa “solo” TV deve investire emotivamente nel lavoro e cercare di trovare una propria libertà all’interno dei limiti che impongono l’azienda per cui lavora o il cliente finale. Da questi innocui conflitti possono nascere soluzioni narrative ed estetiche interessanti e nuove.
Si può fare il montatore per tutta la vita?
Non credo si possa fare questo mestiere fino alla vecchiaia. Non in televisione almeno: è molto usurante e faticoso; trascorri infinite ore seduto davanti ai monitor, obbligato a risolvere una serie di problemi e cercando allo stesso tempo di essere creativo. Il tutto con la spada di Damocle della messa in onda incombente e delle richieste pressanti del cliente di avere il miglior prodotto possibile. Lo stress è spesso altissimo. E vorrei fosse chiaro che personalmente non ci vedo niente di nobile in questa fatica perché sarebbe in gran parte evitabile se, a tutti i livelli, si operasse con la dovuta cura. Non lavoriamo in miniera e in fondo siamo dei privilegiati, per cui dovremmo avere maggiore rispetto e amore per ciò che facciamo, un po’ come si ha cura di un figlio che si vuole crescere nel migliore dei modi.