Tre brevi recensioni: ‘Un bacio’, ‘La macchinazione’ e ‘Veloce come il vento’

Ivan Cotroneo, noto per le sceneggiature di fiction in Tv, ha scelto un tema non certo facile per questo suo film sul grande schermo: è quello del bullismo giovanile. Ma il suo impegno nell’indagare, non senza stile e personalità registica peraltro, su un mondo così sconosciuto come quello degli adolescenti di oggi e sulle storie anche ‘estreme’, spesso sicuramente dolorose, che possono nascere nell’ambito scolastico e nel mondo dei ragazzi, è stato premiato: il film - che non sceglie il tono della denuncia ma quello del racconto curioso e senza tesi precostituite - sta diventando un piccolo ‘cult’ e sarà anche proiettato nelle scuole.

Si narra la storia di tre amici adolescenti, due maschi e una femmina, in un paese del Nord-Est (sembrerebbe Udine), uniti dal fatto di essere ‘diversi’: uno è omosessuale e molto creativo, oltre che alle prese con una situazione familiare complicata; lei è odiata dai compagni di scuola ma anche aggressiva verso gli altri e al contempo vittima di un fidanzato che la rende pienamente ‘oggetto sessuale’; il terzo è introverso, tormentato e alla ricerca di una personalità, oltre che di un’identità sessuale, fra tentazioni omosessuali e ricerca di una piana accettazione sociale.

Il sogno di un’amicizia a tre senza complessi si scontra con il resto della classe, che renderà la loro una storia ‘impossibile’.

Un film ‘diverso’, con protagonisti sconosciuti, proprio per questo apprezzabile e da vedere.

 

‘La macchinazione’, invece, torna su un tema assai più ‘frequentato’, anche nel cinema, ma all’italiana, mai risolto: la morte tragica di Pierpaolo Pasolini a Ostia, a fine 1975. Il regista David Grieco è stato amico di Pasolini e sulla sua fine ha elaborato una teoria, che emerge fin dal titolo: PPP (così lo ritrovavamo ‘sintetizzato’ all’epoca nelle recensioni dei suoi film) era troppo scomodo, anche perché vedeva troppo ‘avanti’ nelle sue analisi socio-economiche, e alla fine è stato eliminato da un apparato di potere composto da politici, militari, esponenti dei servizi segreti e quant’altro.

La tesi non è nuova e può anche apparire al contempo visionaria e ingenua (nel film c’è anche una rappresentazione naif di quanti avrebbero assistito all’omicidio, una visione ‘particolare’ del mondo neo-fascista e dell’MSI ecc.) ma ha dalla sua i troppi misteri e le contraddizioni di Pelosi e degli altri protagonisti di quei fatti, mai chiariti. La rappresentazione degli anni ‘70, un po’ sulla scia di ‘Romanzo criminale’ è però felice e non manca la banda della Magliana.

La forza del film è naturalmente un appassionato Massimo Ranieri nei panni di Pasolini ed è lui a dare un tono all’opera, non senza ricordare un bravo Libero De Rienzo nei panni di un ‘ragazzo di borgata’ che finisce per essere al contempo assassino e vittima delle circostanze.

 

Matteo Rovere nel cinema è al contempo produttore (per esempio del celebrato ‘Smetto quando voglio’) e regista (per esempio del torbido ‘Un gioco da ragazze’). Questa volta coglie nel segno con un film su un mondo poco consueto per il cinema, quello delle corse e dei motori.

Rovere approfitta a dovere dell’occasione di avere la disponibilità di un ‘divo’ (legato ai motori anche per la pubblicità) come Stefano Accorsi a interpretare un personaggio ‘estremo’ come quello di un ex pilota romagnolo (per la verità siamo a Imola ma la zona è quella, insomma, la ‘Motor Valley’ emiliano-romagnola) finito preda della ‘devianza’ e della tossicodipendenza; il tutto, peraltro, è ispirato a una storia vera Alla morte del padre, l’ormai ‘adulto’ ex pilota si ritrova alle prese con un mondo cui ormai era estraneo, quello della famiglia d’origine, con la sua casa in campagna, i suoi riti, il piccolo mondo che la circonda. Soprattutto ha a che fare con una sorella prima dimenticata che cerca proprio fortuna nel mondo delle corse ma ha molte difficoltà, essendo anche donna in un mondo così ‘maschile’.

Il film ci fa ritrovare Accorsi alle prese appunto con un personaggio ‘estremo’, così diverso da suoi soliti ‘bei tenebrosi’, e, assieme, con il dialetto e l’ambiente delle origini. Le espressioni gergali si sprecano, allora, e Accorsi, sfigurato e truccato in un modo molto pesante ma efficace, se la cava, tutto sommato, abbastanza bene.

Il film, complessivamente, ha poi molti pregi: non è una commedia vera e propria, intanto, ma un film di genere (cosa ormai rara nel cinema italiano), ha caratteristiche diverse dal solito, sa dare credibilità e personalità al racconto, soprattutto sa costruire molto bene le scene delle corse (parecchie, ovviamente), ambientate non solo a Imola ma nel finale, a sorpresa, persino a Matera. La sorpresa vera però è l’assoluta coprotagonista Matilda De Angelis, molto brava nel rendere un personaggio determinato, ‘quadrato’ e al contempo tormentato come quello dalla ragazza-pilota con fratellino a carico. Una ‘chicca’ è infine la presenza di un attore di grande bravura che non ha trovato forse il giusto apprezzamento nel mondo del cinema: è Paolo Graziosi, nei panni di un maturo amante dei motori romagnolo che, come si fa da queste parti, ha costruito da solo nella sua officina l’auto della vita, una ‘macchina da corsa’ che è un pezzo unico e inimitabile.

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