Tv locali: documenti, appelli, analisi

 

 

 

Tv locali

 

 

 

Prosegue il dibattito sulla situazione delle Tv locali italiane; ci scrive Corrado Vada, mentre la Federazione della Stampa lancia un appello al Governo perché vengano affrontati con attenzione i problemi del settore.

Partiamo appunto con l’opinione molto interessante di un nome noto dell’emittenza radiotelevisiva piemontese, Corrado Vada:

«Partecipo a questo dibattito con l'entusiasmo di chi ama questo settore e ne ha fatto il suo quotidiano. Opero dal lontano 1979 conquistandomi giorno per giorno il duro pane di questo lavoro.

Ho passato tutte le funzioni, da semplice soldatino a direttore, dal saldare i fili alle cessione di rami d'azienda di comunicazione; ho fatto questa premessa per dire che sono testimone di un percorso che bene o male ha investito il lavoro di migliaia di operatori radiotelevisivi ed emittenti.

L'emittenza locale si è suonata da sola le campane a morto; questa debacle non è colpa di nessuno, solo della cecità dei protagonisti:

questi non hanno saputo, come giustamente dice Mazzoni di Rete 7, modificarsi in base alle nuove realtà editoriali. Ma soprattutto penso che negli anni il loro prodotto editoriale è diventato sempre più scarno e inconsistente e privo sempre più di CREDIBILITA'.

Quando faccio i corsi ai Venditori pongo sempre una domanda: secondo Voi quando al mattino all’imprenditore che si sta facendo la barba viene in mente che vuole fare pubblicità... a chi pensa di rivolgersi per primo? Nessuno sa mai la risposta.

Il suo pensiero va subito al media che nel suo "immaginario" ha più credibilità. Questa cosa è stata sottovalutata fortemente dagli operatori radiotelevisivi.

Tutto ciò ha allontanato la pubblicità e di conseguenza le risorse, portando gli operatori a basarsi sempre più su provvidenze e contributi vari, che cercavano di "arraffare" da qualche parte, o meglio finché la vacca era grassa bene o male qualcosa tutti lo vendevano e qualcosa tutti lo raccattavano (dalla moneta al cambio merce); anche un bambino faceva il contratto alla pizzeria.

Poi la crisi ha falciato chi non si era premunito di produrre un prodotto editoriale interessante e qualitativamente penetrante sul proprio territorio. Pochi anni fa era bello e credibile dire “ti metto la pubblicità vicino al Tg che è molto seguito”, poi la verita è venuta sempre più a galla, ovvero neanche più il tg locale interessa al telespettatore che, comprando il quotidiano locale, legge al mattino “parte” delle notizie che la Tv mette nel tg locale serale, senza parlare dell'aumento dei servizi chiusi nel tg e senza troupe esterna (per risparmiare).

Cari operatori, iniziamo a fare il mea culpa, non abbiatevene a male se lo sottolineo ma l'offerta locale nel tempo si è scarnificata: montagne di televendite in loop hanno stufato anche il più sempliciotto degli utenti (per qualche centinaio di euro ci si è giocati l'ascoltatore e soprattutto la credibilità).

Capisco che sia diventato difficile trovare risorse economiche ma io (come Voi Editori) che di lavoro faccio il contract manager per terzi (fondo editoria e pubblicità per venderne il piu possibile), alla fine cosa vado a dire al concessionario Mercedes??? Che non c'è nessuno che mi guarda??? Gia Lui ha smesso di guardare la Tv locale, o gli dico che metto la sua pubblicità vicino alla maga o alla televendita di pentole? Come minimo mi picchia con un bastone anziché comprare la pubblicità.

La crisi non è colpa di nessuno se non degli editori stessi, molti dei quali non hanno saputo ‘vedere lungo’ ma si sono basati sulla quotidianità.

Soluzioni??? Personalmente non ne vedo o meglio penso che non ce ne siano molte!

Il panino lo hanno fatto con il digitale terrestre qualche anno fa, quando le locali pensavano di vendere o cedere canali qui e là o di fare chissà che cosa, invece si è moltiplicata l’offerta di contenuti sempre più concorrenziali da parte dei ‘big’ e le locali sono sprofondate nel: + 1 del niente, + story del niente, family del niente ecc ecc.

Quando vengo chiamato da qualche emittente come contract manager (commerciale) per tirare su un po’ di pubblicità, baso tutto sulla mia capacità di vendita più che sul prodotto editoriale che ho in mano da vendere (ma qui apriremmo un nuovo capitolo e non è il caso).

Concludo dicendo a Gallizzi: “Lei dice bene, ma parla dei grandi sistemi, oggi le Tv locali devono portare a casa la pagnotta e per uscirne devono cercare di avere un bel prodotto che diventi facile e appetibile da vendere, oppure se il prodotto è scarso e difficile da vendere, devono essere dei ‘bravi venditori’ per piazzarlo”.

Nessuno si aspetti aiuti dallo Stato, quelli non hanno i soldi per piangere; da quello che so, oggi la politica sa che le Tv e Radio locali non sono più credibili e non servono più a loro per farci voti sopra e allora... sono finite le prebende in nero che il politicotto locale lanciava ogni tanto.

Le nuove tecnologie possono aprire nuove finestre e mantenere o ampliare le risorse economiche in entrata... Di sicuro la strada percorsa ieri dalle emittenti private non è più percorribile, bisogna trasformarsi e pensare di più alle produzioni (di qualità).

Prevedo un ulteriore taglio di editori radiotelevisivi, tutto sta andando verso la rete, verso l’apertura di nuovi canali in streaming con costi decisamente più bassi e senza concessioni e burocrazia (per ora).

Sta arrivando la Tv via cavo e il PPV in streaming, penso che il connubio fra rete ed editoria televisiva tradizionale possa far ripartire una nuova strategia: digitale terrestre + nuovi canali in streaming Tv + una buona offerta di contenuti.

Ringrazio per lo spazio concessomi e mi scuso se sono stato forse troppo diretto».

 

Proseguiamo con un'importante nota di Francesca Pierleoni dell’Ansa:

“Sette licenziamenti con preavviso lavorato a T9, ritardi fino a tre mesi nel pagamento degli stipendi a Teleroma 56, stato di solidarietà al 40% fino a luglio a RomaUno, organici ridotti da 17 a 5 unità a Extra Tv e del 50% a Lazio Tv, che ha anche chiuso le redazioni di Roma, Frosinone e Formia. Sono fra i numeri allarmanti della crisi della piccola editoria radiotelevisiva nel Lazio, dei quali hanno discusso in un incontro, fra gli altri, i rappresentanti di Stampa Romana, Federazione Nazionale della Stampa Italiana e i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil Lazio, pronti a mobilitarsi in un'azione comune.

“I tagli ai fondi all'editoria hanno colpito le piccole aziende con il bilancio 2013 e 2014, nel 2015 forse non ci sarà più nulla da colpire. Facciamo un appello al Governo per ripristinare le risorse tagliate e fare un salto qualitativo per l'emittenza” - ha detto Santo Della Volpe, presidente della Federazione Nazionale Stampa Italiana.

D'accordo con lui Massimo Rocca, presidente di Stampa Romana: "Deve finire questa folle tendenza a considerare ogni soldo pubblico un soldo buttato”. Per il settore “c'è anche il progetto di legge regionale 210 che però non ha copertura finanziaria - ha ricordato Andrea Cuccello, segretario generale Cisl del Lazio - . Dobbiamo sensibilizzare la giunta, puntando anche su supporti a livello fiscale per le aziende. Se non facciamo questa battaglia il settore rischia di implodere, ed è una crisi a livello nazionale, come dimostra la discussione sulla Rai, e Sky, che sembra voglia lasciare nel Lazio solo Sky Tg 24".

“Compagno Marino e compagno Zingaretti, fateci sapere come la pensate - ha aggiunto Pierpaolo Bombardieri, segretario generale Uil del Lazio - . Per anni abbiamo assistito a finanziamenti alle sagre della castagna, della porchetta e degli scacchi, possibile non si riesca a tutelare l'informazione? Dobbiamo capire se chi governa il territorio è disposto a spostare finanziamenti per fare una scelta di libertà”.

Secondo Claudio Di Berardino, segretario generale della Cgil del Lazio, una strada da seguire è anche quella dei fondi europei: “Dentro i 45 progetti o idee inviati dalla regione Lazio a Bruxelles ci sono gli spazi per inserire il capitolo informazione”…

Finora “il silenzio sulla nostra situazione è stato assordante - ha commentato Alessandro Tittozzi di T9 - . Forse presidente della Regione e sindaco si accorgeranno della nostra crisi quando non troveranno più microfoni ad aspettarli”.

 

Ma eccoci a un’analisi della situazione sempre attenta e acuta, quella di Massimo Lualdi su www.newslinet.it:

 

“Mentre al Nord comincia a registrarsi qualche segnale di ripresa nel mercato pubblicitario radiotelevisivo (la Radio ha ricominciato da diversi mesi a crescere e dopo i riscontri positivi della nazionale dell'ultimo quadrimestre, anche la locale mostra qualche timido cenno di risveglio), al Centro-Sud le Tv locali continuano a soffrire.

In realtà, a patire maggiormente sono le emittenti che negli anni di vacche grasse hanno consolidato bilanci che vedevano una voce rilevante degli introiti costituita dai sovvenzionamenti pubblici. Viceversa, chi ha sempre e solo contato sulle proprie capacità commerciali, ha risentito meno della chiusura delle borse dei contributi governativi. Così come ad essere conciate male sono le grandi emittenti, mentre le medio-piccole, evidentemente dotate di maggior capacità di sopravvivere tra stenti e privazioni, hanno sin qui mostrato una certa capacità di reggere il colpo.

A nulla, del resto, erano valsi i continui richiami degli esperti del medium che già quindici anni fa evidenziavano l'elevata criticità che stava assumendo la condizione finanziaria delle emittenti televisive locali, sempre più dipendente dai soldi dello Stato e sempre meno proiettata allo sviluppo commerciale connaturato allo svolgimento di un'attività imprenditoriale. Ma tant'è.

Ora, una delle regioni dove il comparto Tv locale è maggiormente colpito dalla crisi è il Lazio, territorio nel quale gran parte delle stazioni esistenti hanno confidato molto (troppo) nelle contribuzioni pubbliche. Lì, secondo i sindacati, la situazione è vicina al collasso: sette licenziamenti con preavviso lavorato a T9, ritardi fino a tre mesi nel pagamento degli stipendi a Teleroma 56, stato di solidarietà al 40% fino a luglio a RomaUno, organici ridotti da 17 a 5 unità a Extra Tv e del 50% a Lazio Tv, che ha anche chiuso le redazioni di Roma, Frosinone e Formia. Questi, denunciano gli enti esponenziali, sono alcuni dei numeri allarmanti della crisi della piccola editoria radiotelevisiva nel Lazio.

Di questi e degli argomenti connessi e collegati hanno discusso in un incontro, fra gli altri, i rappresentanti di Stampa Romana, Federazione Nazionale della Stampa Italiana e i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil Lazio, pronti a mobilitarsi in un'azione comune. «I tagli ai fondi all'editoria hanno colpito le piccole aziende con il bilancio 2013 e 2014, nel 2015 forse non ci sarà più nulla da colpire. Facciamo un appello al governo per ripristinare le risorse tagliate e fare un salto qualitativo per l'emittenza» - ha detto Santo Della Volpe, presidente della Federazione Nazionale Stampa Italiana…

Per il settore «c'è anche il progetto di legge regionale 210 che però non ha copertura finanziaria - ha sottolineato Andrea Cuccello, segretario generale Cisl del Lazio - . Dobbiamo sensibilizzare la giunta, puntando anche su supporti a livello fiscale per le aziende. Se non facciamo questa battaglia il settore rischia di implodere…»”.

 

E chiudiamo con un comunicato dell’associazione Rea che riguarda gli editori televisivi siciliani:

 

“Il grido d'allarme è stato lanciato da Caltanissetta, presso l'hotel San Michele, durante un'animata riunione dei titolari delle venti emittenti televisive locali più rappresentative della Sicilia per fare il punto sulla gravissima crisi in cui il settore è stato messo per mano di una dirigenza ministeriale incapace e compromessa con gli interessi delle grandi reti e delle Telecoms ed una Autorità tutt'altro che super partes nel deliberare i piani di assegnazione delle  frequenze e delle numerazioni dei programmi sul telecomando (LCN).

Le problematiche del settore radiotelevisivo sono state analizzate alla luce dell’esperienza maturata dopo oltre 2 anni dal passaggio al digitale terrestre il quale ha comportato notevoli investimenti tecnologici, ancora del tutto improduttivi, aggravati dal calo degli inserzionisti dovuto alla crisi generale ma soprattutto all’incapacità della classe politica regionale che non è stata in grado di gestire tramite i fondi europei lo switch off nel 2012, così come è stata incapace di gestire la legge regionale sull'editoria, fortemente voluta dagli editori ma rimasta inapplicata perché senza decreti attuativi. Pertanto, gli Editori Televisivi Siciliani hanno approvato una serie di iniziative che metteranno in atto per fare fronte comune e garantire la continuità e la storia delle emittenti televisive locali, che da oltre 30 anni svolgono un "Servizio Pubblico" non riconosciuto e troppo spesso sottovalutato dalla classe politica.

La REA, come sempre, sarà a fianco delle emittenti nel sostenere tutte le iniziative atte a salvaguardare le imprese e l'occupazione impegnandosi ad estendere la lotta in tutte le Regioni italiane che durerà per l'intero periodo elettorale, da aprile a maggio, affinché partiti e politici possano valutare l'importanza del servizio pubblico svolto dall'emittenza locale sul territorio.

Si coglie l'occasione per invitare le emittenti a chiedere l'amicizia a REA Segreteria su facebook dove sono pubblicate in tempo reale le attività associative e del settore”.

 

 

Su tutto questo vi invitiamo a intervenire liberamente inviandoci le vostre valutazioni e i vostri suggerimenti. Vorremmo far apparire in primo piano un settore che spesso è purtroppo ormai relegato dietro le quinte.

 

Per farlo utilizzate gli spazi di ‘commento’ qui sotto.

There are 7 comments

  1. Antonino Di Bella

    Passano gli anni ma il tema delle tv locali è sempre attuale.
    Abbiamo festeggiato nel Luglio scorso anche sul “nostro” Millecanali, vera bibbia del mondo dei media, i 40 anni dalla storica sentenza della Corte Costituzionale che demoliva il monopolio Rai a vantaggio delle tv via cavo ( le vere tv locali ) e ci apprestiamo a festeggiare i 40 anni delle prime tv via etere.
    Da allora sono nate e scomparse centinaia di tv ma il nodo dei finanziamenti è stata la discriminante che ha impedito lo svilupparsi di tante idee e ha censurato professionalità che si erano dedicate anima e corpo solamente alle tv locali.
    Con l’ avvento del digitale sono aumentati, a dismisura direi, i canali a disposizione del pubblico e del territorio ma le risorse che vengono drenate dalle piccole e medie tv rischiano di far sparire definitivamente chi si era, con grandi sacrifici, salvato dalla prima onda della legge Mammì…è questo che si vuole?

    Antonino Di Bella

  2. Mario Vito Digregorio

    Guai per i nostri politici se ogni comune d’Italia avesse una TV locale. Non ci sarebbe la possibilità di controllarle tutte, pertanto sono da sempre di particolare intralcio e quindi nemiche di chi professa il contrario. Ed è proprio questo il disegno messo in atto da tutti gli attori della politica italiana, far scomparire l’unica voce priva di condizionamenti, quella del territorio, quella che racconta il pensiero della gente comune e degli indifesi. Eppure molti parlamentari si possono paragonare al famoso inquilino del paese dei balocchi, predicano bene e razzolano male. Da una parte mostrano attenzione e dell’altra liberano un siluro dopo l’altro. La televisione locale è l’unico strumento concreto di informazione, uno strumento tanto importante quanto debole, perchè contro il potere della casta non si hanno chances. L’articolo 21 della nostra bella (sulla carta) costituzione tutela anche le TV locali, non ci possono tappare la bocca, ma loro, i nostri politici, raggiungono lo stesso scopo azzerando i contributi alle realtà locali e creando non poche difficoltà burocratiche per la sopravvivenza.
    Per riappropriarci del nostro importante ruolo serve una grande mobilitazione generale di tutti, nessuno escluso, diversamente non saranno le TV locali ad avere i giorni contati ma la democrazia del paese e la libertà di informazione come dovere ma sopratutto come diritto del cittadino.

  3. Gianni Tanzariello

    Noi editori che facciamo da circa 40 anni questo mestiere ci chiediamo e Vi chiediamo, le emittenti televisive locali:
    1) sono una ricchezza, una risorsa per il nostro PAESE ?
    2) svolgono un Servizio Pubblico Locale di informazione che nessun altro operatore televisivo oggi svolge ?
    Il numero elevato di emittenti locali è da considerarsi una anomalia italiana rispetto ad altre Nazioni Europee? Oppure è sinonimo di garanzia del pluralismo dell’informazione e quindi da considerarsi una ricchezza per il territorio e per l’Italia, come sono una ricchezza il Made in Italy nella moda, nell’automobilismo, nelle botteghe artigianali, nell’enogastronomia, e quindi un fenomeno da tutelare e difendere? Ebbene, se il motivo di questa consultazione è conoscere se “LE MODIFICHE INTRODOTTE CON TALE INTERVENTO POSSONO COSIDERARSI SUFFICIENTI AD OFFRIRE AL SISTEMA DEI MEDIA AUDIOVISIVI E RADIOFONICI UNA NORMATIVA ADEGUATA AD AFFRONTARE NEL MODO MIGLIORE LA “RIVOLUZIONE” TECNOLOGICA”, la risposta è NO! Perché tra queste modifiche, come è noto, rientra la delibera Agcom 480/14/CONS del 23.9.2014,  con la quale in PUGLIA verrebbero soppresse 12 frequenze su 18! E’ appena il caso di ricordare che con il passaggio dall’analogico al digitale terrestre, tali frequenze sono state assegnate alle emittenti dal MISE nel 2012 per una durata di 20 anni (2012-2032). Su queste 18 frequenze in Puglia lavorano ben 53 emittenti, che trasmettono circa 80 canali televisivi. Questa delibera, che annuncia la revisione del piano nazionale di assegnazione delle frequenze televisive, potrebbe essere riassunta così:
    “Lo Stato sbaglia?
    Pagano le piccole aziende, in questo caso quelle televisive locali”
    La giustificazione per questo assurdo ha dell’incredibile, evitare le sanzioni dall’UE e “recuperare credibilità internazionale”! La soppressione delle frequenze provocherà dannose ricadute sul settore dell’emittenza televisiva locale con conseguenze disastrose traducibili nell’annullamento del pluralismo dell’informazione locale, nella chiusura dell’80% delle emittenti pugliesi e nella relativa perdita di posti di lavoro, circa 1000!
    Il Governo, attraverso l’AGCOM ed il MISE, dice oggi “Scusate, abbiamo sbagliato. Rimediamo Subito”. Come? Il BUON SENSO dovrebbe suggerire di rifare il Piano Nazionale delle Frequenze, riassegnando le frequenze non interferenziali ovvero quelle BUONE, già affidate alle Nazionali, ripartendole tra Nazionali e locali, permettendo anche a queste ultime di continuare a lavorare.
    Invece NO! La soluzione proposta è “un indennizzo per la dismissione delle frequenze”, insomma un incentivo. Un incentivo di solito lo si dà per sostenere le aziende in difficoltà o per incrementare i posti di lavoro, invece questo è un incentivo che viene dato per chiudere le aziende televisive locali, in poche parole per mandare a casa i dipendenti. Insomma in un momento di grave crisi come quello che stiamo attraversando, è un incentivo per favorire la perdita di posti di lavoro. Qualcuno dell’AGCOM ha affermato che “senza le frequenze le emittenti locali possono continuare ad esistere facendo solo i fornitori di contenuti”. Questa è una grande falsità!
    Una risposta in tal senso è già stata data durante il Question Time di qualche settimana fa, qui alla Camera. Sull’argomento il rappresentante della Lega Nord, On. Davide Caparini, con un esempio pratico ha sottolineato che le frequenze sono per le tv locali come l’acqua e la farina per il panettiere, senza l’una o senza l’altra il pane non si può fare.

    Chiediamo a questo Governo, per il tramite di questa Commissione, di non toglierci la libertà di lavorare, di fare il servizio pubblico locale, di fare informazione. Non toglieteci la speranza di credere in un Governo che tutela tutti, di credere in un Paese democratico dove la legge è uguale per tutti e le regole valgono per tutti, piccoli e grandi, emittenti locali e nazionali. La nostra preoccupazione infatti è quella di sentirci dire dalle istituzioni che, mentre per le emittenti Nazionali le frequenze assegnate sono un diritto acquisito, per le emittenti locali il diritto d’uso, assegnato dal Ministero per 20 anni, non lo è! Nel settore circolano in merito due teorie contrapposte: c’è chi pensa che quello di cui oggi parliamo sia stato un errore grave ma comunque in buona fede, c’è chi invece ritiene che l’errore faccia parte di una strategia premeditata. Vogliamo pensare solo alla prima teoria, ad un errore in buona fede al quale si vuole rimediare. Certo però non nel modo finora prospettato con la delibera 480/2014 e con l’emendamento proposto al Ministero. Ribadiamo che prima della soppressione delle frequenze interferenziali con i Paesi esteri, bisogna rifare il nuovo Piano di assegnazione delle frequenze, distribuendo le risorse utili, ovvero le frequenze non interferenziali tra emittenti nazionali e locali, con relativo switch-off programmato regione per regione.

  4. Salvatore

    Il 25 Luglio del 1975, all’eta di 18, ho messo piede per la prima volta nella sede di una tv privata come collaboratore. Mai, forse con l’ingenuità di quell’età, mi sarei aspettato che dopo 40 anni il fare televisione sarebbe diventato uno status così precario.
    Il vero ruolo delle tv locali è rimasto in tanti lunghi anni in un limbo per colpe della politica, per interessi speculativi di grandi imprenditori, per l’approssimazione e l’opportunismo di piccoli faccendieri di paese.
    La rottura del “monopolio” Rai non aveva le stesse finalità per quanti allora si affacciavano nel settore: da una parte c’era chi aveva interessi commerciali, dall’altra chi riteneva fosse importante rendere più capillare l’informazione aprendola a più interpretazioni.
    L’interesse commerciale, che ha una sua legittima giustificazione nell’apertura del mercato, nella possibilità di fare concorrenza, ha usato il “più nobile” aspetto della voglia di fare informazione, di approfondire temi locali, per far breccia nel sistema e per diventarne subito dopo attore protagonista in possesso di dimensioni e numeri tali da influenzare la politica, di decidere i bottoni da premere.
    Oggi abbiamo la prova evidente (caso mai ce ne fosse stato bisogno) che le tv locali e i network nazionali sono due realtà che non possono coesistere nell’ambito di stesse regole, di uno stesso mercato. Tralasciando quanto accaduto in passato, la pianificazione DVB-T è la prova di quanto sia stato sbagliato considerare tv locali e network nazionali appartenenti ad uno stesso mondo.
    Guardate quanti sono oggi i canali trasmessi da ciascun network nazionale. Prima erano tre o poco più oggi sono diventati decine e decine. Più canali, più libertà? Libertà di chi?
    C’è qualcuno che pensa che le tv locali per sopravvivere dovrebbero abbandonare il ruolo (quelle che oggi lo hanno) di operatori di rete affidando la distribuzione del segnale ad operatori terzi (?) “professionali”.
    Non sarà forse la voglia di affidare quel po’ di valore loro rimasto in mano di una nuova speculazione, come qualcuno malignamente pensa? La loro sorte da chi dipenderà? Quale vera autonomia potranno avere quando il loro futuro sarà condizionato dal “provider” di turno?
    La vera soluzione, “il sogno”, sarebbe quello di definire quali sia una volta per tutte il pacchetto di frequenze assegnato ai network e quello destinato alle locali (quelle vere non quelle che trasmettono su tutto il territorio nazionale, o quasi, sottraendo spazi alle tv regionali e locali) con una ripartizione delle frequenze disponibili (tutte e non gli avanzi) così come stabilito dagli accordi internazionali.
    Il settore delle tv locali ha bisogno di piena autonomia. Le tv locali non possono sedere allo stesso tavolo insieme alle tv nazionali quando si discute di frequenze, di pubblicità, di indagine di ascolti, di canoni, eccetera…
    Non sono la stessa cosa, sono realtà completamente diverse a cui va assegnata pari e distinta attenzione e pari e distinto diritto di rappresentanza. La politica che sta con i “cittadini”, quella concreta, pragmatica, non dovrebbe considerare le tv locali che rispettano le leggi, i regolamenti, che non hanno lavoro nero, che investono, dei “parenti poveri”.
    Solo riacquistano una specificità, riacquistando la grande valenza che avevano nel decennio 75/85, loro sottratta da grandi giochi, da grandi interessi, le locali potranno avere un futuro, dare speranza alle migliaia di lavoratori ancor oggi, nonostante tutto, da loro occupati.
    Chi può provveda…

  5. Gianni Tanzariello

    Un breve passaggio sull’assegnazione della sintonizzazione automatica dei canali (LCN): l’assegnazione è stata fatta senza considerare né le aspettative degli utenti-telespettatori, che hanno visto stravolgere la posizione dei propri canali preferiti, né le aspettative degli operatori di mercato storici, che sono stati costretti a proporre una serie di contenziosi, ancora pendenti, presso i Tribunali Amministrativi ed il Consiglio di Stato.
    A questo pasticcio si può e si deve rimediare. Ci permettiamo di dare il nostro contributo con un consiglio pratico e semplice basato sul buon senso. Quale? Rinnovando il bando per l’assegnazione dell’LCN con criteri completamente diversi, andando incontro alle esigenze degli utenti e degli operatori. Come? assegnando la numerazione automatica a blocchi di canali suddivisi per tipologia (per intenderci come avviene con la programmazione del televideo), inserendo un primo blocco di canali nazionali di emittenti generaliste, un secondo blocco di canali di emittenti locali generaliste e, a seguire, blocchi di canali di emittenti raggruppate per tipologia (a titolo di puro esempio: dal 200 al 250 canali sportivi, dal 300 a 350 canali che trasmettono film, e poi canali musicali, canali per cartoni animati ed infanzia e così via). Questo permetterebbe all’utenza di orientarsi in maniera rapida ed efficace nella ricerca delle proprie trasmissioni preferite, al contrario di quanto avviene oggi. Difatti allo stato attuale nei primi 100 canali si trova di tutto, come in un bazar: dai canali nazionali a quelli locali (questi ultimi suddivisi a macchia di leopardo), da quelli sportivi a quelli di televendite, e poi canali musicali, cartoni animati, finanche canali che trasmettono giochi d’azzardo! In conclusione ci auguriamo che, a seguito di queste consultazioni si possa ascoltare chi opera ogni giorno sul campo da ormai quasi 40 anni, sporcandosi le mani con le problematiche tecniche e fronteggiando la concorrenza, e si possano mettere in pratica questi suggerimenti per favorire le prospettive di sviluppo economico e occupazionale del settore.

  6. Raffaello

    Vero che bisogna difendere le TV locali, senza che questo però si tramuti in una calata di braghe e sconti a go-go da parte dello Stato. A questo bisogna aggiungere che ci sarà anche penuria di frequenze, ma io vedo dopo il 100 un sacco di canali che trasmettono pubblicità e televendite per la quasi totalità del loro palinsesto. Questo è un servizio pubblico da tutelare o possiamo ragionarci sopra e pensare di penalizzarne alcune senza sentirci troppo in colpa?

  7. Mimmo

    Ringraziamo il governo Renzi asservito al governo europeo, grazie ai quali , il prossimo 30 marzo l’editore dell’emittente tarantina Blustar TV , cesserà a suo dire le trasmissioni ed avvierà i licenziamenti collettivi per tutti i dipendenti della stessa, motivazioni valide? Secondo l’editore adducibili alla rottamazione delle frequenze ( per speculare anche sull’incentivo economico), dovute al calo dei fatturati degli ultimi anni (incapacità imprenditoriale di fornire e diversificare programmi di interesse locale), non ultimo il sottrarre alla’emittente l’unica fonte sicura di guadagno ovvero le torri di trasmissione rivendute ad altra società riconducibile allo stesso editore. Quindi dal prossimo 30 marzo, 16 famiglie si ritroveranno per strada dopo che i dipendenti hanno investito decenni di sacrifici per lavoro mal retribuito che è servito solo a far arricchire gli interessi del singolo! Viva l’Italia!

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