Tv locali: il dibattito continua

L’ultimo intervento pervenuto è quello di Giovanni Mazzoni, direttore di È Tv - Rete 7 di Bologna:

 

«Partecipo volentieri al dibattito in line sulle Tv locali ma con l’amara sentenza che la Tv locali hanno finito il loro ruolo. Sono nate nel periodo del monopolio e sono servite ad abbatterlo. In quel momento gli interessi dei piccoli e grandi imprenditori erano convergenti. Oggi la situazione è totalmente opposta e gli interessi dei grandi network, l’evoluzione inesorabile della tecnologia, lasciano poco spazio ad un settore che non ha saputo ma soprattutto non ha voglia di rinnovarsi. Si cerca di difendere l’interesse particolare senza accorgersi del problema generale. Frequenze e Lcn sono solo una parte del problema, il vero scoglio è che ognuno pensa di essere unico e insostituibile, mentre siamo tutti uguali e deboli su un fronte così ampio».

 

Ecco poi cosa ha dichiarato sul tema Pierfrancesco Gallizzi (FNSI).

“Renzi ha ragione quando dice che senza la riforma della Rai, come motore identitario e culturale del Paese, non saremo in grado di fare un investimento nel Paese. Allo stesso tempo, però, il premier non dimentichi le moltissime Televisioni e Radio locali che, a causa della crisi economica, hanno chiuso o stanno per chiudere. Realtà che, di fatto, offrono un servizio pubblico ai cittadini informandoli su ciò che accade nelle loro città e nei loro paesi”.

Lo dice appunto Pierfrancesco Gallizzi, consigliere della Federazione Nazionale della Stampa Italiana e vicepresidente dell’Associazione Lombarda dei Giornalisti, a nome del Movimento Liberi Giornalisti, commentando quanto dichiarato oggi dal Presidente del Consiglio. “Governo e Parlamento, dunque – aggiunge Gallizzi in una nota – diano un segnale forte a favore delle Televisioni e Radio locali che autoproducono telegiornali e programmi d’informazione utilizzando propri dipendenti. Solo così, come da tempo sostiene anche il segretario nazionale dell’Ordine dei Giornalisti, Paolo Pirovano, potremo impedire di mettere la parola fine a quei media che ancora riescono a dare notizie locali diventando, appunto, motore identitario e culturale del Paese”.

”La crisi della pubblicità e più in generale del sistema produttivo italiano – conclude Gallizzi – non permettono a moltissime di queste aziende di andare avanti. Alcune hanno già chiuso, altre lo stanno per fare. Altre ancora hanno deciso di dedicarsi solo alle televendite. Destinare risorse pubbliche o una quota del canone Rai alle televisioni e radio locali che autoproducono telegiornali e programmi d’informazione sarebbe anche un gesto di grande senso civico”.

 

Ma eccoci a un altro caso emblematico di come l’emittenza locale sia sempre un po’ ‘l’ultima ruota del carro’. Ecco infatti cosa compare, rivolto al pubblico dei telespettatori, attualmente sul sito della Tv locale piemontese Rete Canavese:

“Siamo nuovamente costretti a chiedervi, se non vedrete più il nostro segnale nei prossimi giorni, di risintonizzare per l’ennesima volta il vostro decoder o il vostro televisore, ci ritroverete sempre sul canale 73 del vostro telecomando. Infatti, nonostante le cause tuttora pendenti al TAR del Lazio, l'Ispettorato Territoriale del Ministero nei giorni scorsi ci ha inviato una “prescrizione” che ci ordina di abbandonare la frequenza alla quale abbiamo diritto e sulla quale ci siamo appena riposizionati nei primi giorni di gennaio. Un provvedimento contro il quale ci siamo battuti, ma che non possiamo far altro che rispettare.
Così, davanti al dilemma se dissolvere nell’etere questi 39 anni di Televisione locale, scomparendo definitivamente, o resistere ancora facendoci ospitare su un'altra frequenza, abbiamo scelto questa seconda opzione. Questo è solo l’ultimo atto, in ordine di tempo, di una battaglia che possiamo dire è cominciata nel 2010 all’indomani del passaggio al digitale terrestre. Battaglia che è proseguita per tutti questi anni, con alterne fortune, ma con il proposito da parte nostra di difendere strenuamente il diritto ad esistere delle piccole emittenti televisive, contro un processo di digitalizzazione che invece, a forza di bandi e graduatorie improntati alla “legge del più forte”, con cambi di regole e di strategie, ha cercato di “ripulire” l’etere dai gestori indipendenti per consegnare tutto nelle mani di pochi.
Proseguiremo questa battaglia, perché siamo certi del nostro diritto morale e giuridico di esistere e perché vogliamo fortemente continuare a rimanere presenti, come facciamo da 39 anni, nell’etere, nel quale oggi qualcuno vorrebbe invece disperderci”.

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