Una domenica ‘speciale’ in Tv

L'imbarazzo della scelta –

Serata di classe ieri sera su RaiUno e su La7, sia pure con due generi molti diversi fra loro. Sulla prima rete pubblica è iniziata la serie in sei puntate ‘Un matrimonio’ di Pupi Avati, su La7 era in onda un memorabile speciale di ‘Servizio Pubblico’ sulla ‘terra dei fuochi’…

A un certo punto, per chi ancora non faccia ricorso alla ormai sempre più 'in voga' 'visione in differita' dei programmi e si accontenti del palinsesto tradizionale, riteniamo si siano posti seri problemi di scelta, ieri sera. In contemporanea, per diversi minuti almeno, c'erano in onda due proposte di gran classe, a sfatare l'idea che durate le feste natalizie sia un po' come ad agosto, cioè si possa spegnere tranquillamente, o quasi, il televisore (ma in agosto, lo ricordiamo, su RaiUno c'è sempre 'Teche Teche Tè', che sta per tornare, fra l'altro, con una specialissima serata in apertura d'anno, di cui naturalmente riferiremo a dovere).

Ieri sera invece veniva quasi da dire 'troppa grazia, sant'Antonio', come vuole il noto motto.
Partiamo dalla serie di Pupi Avati, un nome che ancora una volta è una garanzia di per sé.

Ieri, domenica 29 dicembre, su RaiUno è stato dunque trasmesso il primo episodio di “Un matrimonio”, una fiction in sei puntate diretta da Pupi Avati, con protagonisti Micaela Ramazzotti e Flavio Parenti.
La serie, prodotta da Rai Fiction e Antonio Avati per Duea Film, si avvale di un ricchissimo cast (fra i tanti - sono in tutti ben 250 attori - ci sono Andrea Roncato, Valeria Fabrizi, Christian De Sica, Katia Ricciarelli, Mariella Valentini, Ettore Bassi, Corrado Tedeschi, Viola Sartoretto, Antonella Ferrari, Federica De Cola, Chiara Ricci, Gisella Sofio, Edoardo Pesce, Giorgia Sinicorni, Massimo Cagnina, Sandro Dori, Vincenzo Failla, Remo Remotti) ed è ispirata al cinquantennale legame dello stesso Pupi Avati con la moglie e alla vita dei suoi genitori.

E, come avevamo visto fin dai tempi di 'Jazz Band', Pupi dà il meglio di sé proprio quando deve raccontare cose che lo riguardano direttamente. Questa è pertanto la storia straordinaria, ma molto normale, di due coniugi in grado di superare con gli anni le incomprensioni, le difficoltà economiche, le inquietudini dei figli, la stessa separazione per un breve periodo, per alla fine ritrovarsi e condividere insieme tutto il resto della vita.

La vicenda ha inizio nel 1948 sulle rive del fiume Reno, in Emilia, e da Sasso Marconi si trasferisce a Bologna (c'era tanta Bologna ieri sera nella prima puntata, come spesso accade con Pupi Avati, per la gioia di chi qui è nato e ha vissuto, come chi scrive queste note), per approdare infine a Roma, attraversando in mezzo secolo tutti gli eventi principali del nostro Paese.

“Con questo progetto - ha sottolineato Pupi - c'è l'ambizione di restituire al matrimonio e quindi alla famiglia la centralità perduta nella società attraverso gli anni”, in tempi (si sottintende) di separazioni e divorzi un po' a cuor leggero.

Ma non è necessario essere d'accordo con gli intenti del regista per apprezzare la sua consueta straordinaria capacità di mettere in scena (nel racconto filmico) le vicende e soprattutto gli attori. In più, in questo caso, ci scorre davanti tutta la storia italiana di mezzo secolo, vissuta nella quotidiana routine della famiglia, compreso (tanto per rimanere in tema) anche l'avvento della Tv, che ha modificato nel profondo le abitudini familiari.

Durante le riprese, a detta di Pupi, si è verificato un evento straordinario: “Tutti gli attori si erano spersonalizzati ed erano divenuti miei parenti. E alla fine loro conoscevano la mia famiglia meglio di me”.
Micaela Ramazzotti, poi, faceva caso a sé: “Durante le riprese in lei vedevo mia madre e pretendevo tutto quanto avrebbe fatto la mia genitrice. Posso assicurare che in 45 anni dedicati al cinema non mi è mai capitato di riscontrare tanta sensibilità in un'attrice”.

Su La7 c'era invece tutt'altro ma era davvero un prodotto straordinario e per non sembrare troppo 'di parte' specifico subito che - come forse qualcuno sa - non sono mai stato esattamente tra i 'grandi estimatori' del trio Santoro-Travaglio-Vauro. Però quello speciale di 'Servizio Pubblico' sulla 'terra dei fuochi' era di altissimo valore e anche un memorabile esempio di 'grande inchiesta Tv'.

Si parlava dunque dell'inferno della 'terra dei fuochi' tra Napoli e Caserta, con migliaia di ettari contaminati (anche con scorie atomiche, pare!) e con un'epidemia di tumori: terre dove in 20 anni sono state interrate 10 milioni di tonnellate di rifiuti tossici, con 410mila camion che hanno fatto su e giù per l'Italia con il loro carico di morte, senza che nessuno li fermasse.
A condurre questo memorabile 'speciale' c'era Sandro Ruotolo, con cui ha lavorato Dina Lauricella.

E se i fatti sono ormai abbastanza noti, quello che non si era mai visto era quella parte d'Italia osservata così da vicino, 'dal vivo', nel racconto di chi lì vive, di chi ha subito lutti in famiglia per quei veleni, di chi lavora ancora quelle terre 'maledette' e produce ortaggi che deve poi nel migliore dei casi svendere, perché la gente ovviamente non li vuole o non si fida di quei prodotti.

Le testimonianze erano semplicemente terrificanti, come quella del poliziotto che ha condotto anni di indagini, si è gravemente ammalato per questo e poi si è sentito dire che i risultati del suo lavoro 'per il momento non erano prioritari', oppure gli agricoltori che si sono autodenunciati, hanno fatto svolgere analisi sui prodotti dei loro campi (situati nella zona 'incriminata') ma - beffa nella beffa - si sono poi ritrovati con analisi sì positive e tranquillizzanti ma anche nell'impossibilità di raccogliere i prodotti, per ragioni soprattutto burocratiche. Poco lontano, in zone probabilmente più inquinate, altri coltivano, producono, raccolgono e vendono senza dir nulla e - sembra proprio - senza che nessuno dica loro nulla.

Ma a caratterizzare più di ogni altra cosa questa straordinario 'racconto dal vivo' c'era il pentito (di mafia e non di camorra) Carmine Schiavone, che raccontava le cose mentre si aggirava in auto con Rutolo, rivedeva dopo vent'anni i luoghi della sua memoria (compresa la sua stessa casa, a Casal di Principe, ma senza mai scendere dalla vettura, per ragioni di sicurezza), spiegava senza reticenze (o quasi) le cose, ammetteva di 'avere tanto ucciso', combattendo ben quattro guerre con altri clan, ma assicurava di non aver voluto mai inquinare in quel modo, tanto che quando aveva scoperto i fatti, aveva provocato una faida nella sua stessa famiglia, a costo del rischio della sua stessa vita.

A concludere questo documento di fortissima intensità, il confronto diretto in studio fra Schiavone (che ha anche fatto, dopo alcune allusioni, il nome di Paolo Berlusconi) e le mamme di alcuni bambini morti di 'tumori da inquinamento'. 'Anche lei è colpevole di averci avvelenato' - gli dicevano le mamme, con Schiavone a negare, perché lui ha fatto 'molte brutte cose' ma non ha 'segnato per sempre quel territorio' a Casal di Principe come altri capicamorra hanno fatto in altre zone vicine; c'era poi il timore comune che la eventuale (peraltro indispensabile) bonifica si faccia dando occasione di affari ai 'soliti noti', magari proprio a chi prima ha distrutto tutto, sempre e solo per soldi.

'Ma voi, gente di Napoli e Caserta, cosa avete fatto in questi anni?' - denunciava Schiavone rivolto alle mamme - . Avete chiuso gli occhi su tutto e avete votato sempre gli stessi, quelli senza i quali queste cose non si sarebbero potute fare'.

Alla fine non sembrava esserci soluzione in questa situazione kafkiana, dove tutto l'orribile e il pazzesco è diventato possibile e Schiavone, resosi conto che via d'uscita forse non c'era, abbandonava platealmente lo studio, le mamme e la trasmissione assicurando: 'Io a voi interviste non ne concederò più'.

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