Può un programma televisivo avvicinare i giovani alla politica? ‘Anno Uno’ è da questo punto di vista una scommessa, che può anche apparire vinta.
Può un programma televisivo avvicinare i giovani alla politica? Far nascere in loro l'interesse per la “cosa pubblica”? Probabilmente no, ma sicuramente il tentativo di inventare un format che possa “incollare” alla Tv anche i ventenni, davanti a dibattiti tra deputati e ministri, è sicuramente degno di lode. 'Anno Uno' è da questo punto di vista una scommessa vinta. E non poteva che essere La7 la rete elettiva per questo esperimento.
Chiariamoci: la forma non è la sostanza e l'abito non fa il monaco, per dirla con i luoghi comuni. E così, se la creazione di un nuovo contenitore politico è un'idea strepitosa ed estrema (e solo quel “diavolaccio” di Santoro poteva spingersi a tanto), la trasmissione in sé (intesa come contenuto, appunto) è mediocre, banale a volte, e le storie tragicamente stereotipate.
Promossa da commentatrice a presentatrice, poi, Giulia Innocenzi non convince. È tesa, ripassa il “compitino” quando non è inquadrata, non ha presenza scenica, manca di autorevolezza con gli ospiti. La sua dizione è improponibile. Più che Lilli Gruber o Monica Maggioni, l'ideale di presentatrice cui tenta di somigliare è Maria De Filippi.
Eppure, a livello di format, è proprio questo il valore aggiunto di 'Anno Uno': aver trasformato 'Ballarò' in una via di mezzo tra 'Amici', 'Uomini e Donne' e 'Grande Fratello'. Una banalizzazione del dibattito politico? Forse. Ma sicuramente un'idea originale, forse un po' stravagante, ma geniale.
Prima di tutto, l'arena in cui si svolge il dibattito è “diversa” già a una prima occhiata: il logo richiama due mezze lune che si occhieggiano, ma anche lo yin e lo yang. La disposizione a cerchio evita la contrapposizione spesso presente nei talk show politici e dà l'idea di amicizia, appunto. Rifacendosi alla prima serie dello storico programma della De Filippi, in particolare, non alla sua evoluzione talent di oggi.
E come in ogni buon gruppo di amici, i ragazzi hanno, tutti, un proprio ruolo: più personaggi che persone, raccontano comunque un'Italia giovane, in cui ognuno può riconoscersi. C'è il ragazzo che è andato a studiare a Londra, l'immigrato che parla milanese, la giovane della porta accanto, il belloccio, il trans… Hanno sempre i microfoni accesi (e anche questa è una novità, che magari crea un po' di confusione, ma che sicuramente cambia il modo di fare dibattito politico). E possono essere “votati” su twitter. Per adesso, non è previsto che ci siano nomination e uscite dalla “casa”, ma non si sa mai…
Infine, anche la scelta degli ospiti si è rivelata, almeno in queste prime due puntate, azzeccata. Il presidente del Consiglio Matteo Renzi non poteva trovarsi in una platea migliore. E anche il segretario della Lega Nord Matteo Salvini, malgrado le critiche, ha fatto la sua figura di giovane informale tra i giovani.
Insomma, probabilmente l'era dei talk show politici è tramontata. Forse non è pensabile irretire i giovani in dibattiti che poi, alla fine, sempre politici sono. Ma l'idea della squadra di Santoro è ottima. Almeno come forma. Per il contenuto, c'è da lavorarci ancora un bel po'.