‘Viva la libertà’: un film ‘profetico’?

Riproponiamo ai lettori, dopo il voto, la recensione del film di Roberto Andò ‘Viva la libertà’, che, prima delle elezioni, sembra averne previsto il risultato e aver anche individuato le ragioni di un simile esito.

Non poteva che avvenire alla vigilia delle elezioni l'uscita di questo singolare film del siciliano Roberto Andò, eclettico intellettuale, regista teatrale e di opere liriche, scrittore (legato anche alla figura di Sciascia) e sceneggiatore. Andò è stato autore nel campo del cinema (mezzo che ama molto, tanto da aver avuto contatti con Tornatore, Rosi, Fellini e anche Francis Ford Coppola, come assistente) negli anni scorsi, in particolare, di un interessante, anche se un po' irrisolto, 'Viaggio segreto', dove, al di là del soggetto intrigante, non a caso c'era molta Sicilia, anche se restano nella memoria soprattutto le bellezze senza veli di una incantevole Valeria Solarino e di Claudia Gerini.

Appunto pochi giorni prima del responso elettorale di domenica prossima Andò torna sugli schermi con questo 'Viva la libertà', che, manco a dirlo, è un film che parla di politica. Il regista siciliano porta sul grande schermo, per la precisione, il suo stesso romanzo (vincitore di un Campiello) 'Il trono vuoto' e assieme alla politica mette insieme molta cultura, molte citazioni letterarie, filosofiche e anche cinematografiche, qualche riferimento chiaro all'attuale situazione italiana (e anche francese) e assieme alcuni 'topos' della letteratura e del teatro: nel tema del 'doppio,' che è al centro del film, non mancano echi pirandelliani (ancora la Sicilia, dunque, al centro), e ad esso si associa quello ugualmente classico della “follia” (o anche 'in vino veritas', magari, per altri versi) che ti permette di dire le cose nella loro intima verità, senza ipocrisie, diplomazie e 'versioni ufficiali' da rispettare.

'La verità è sempre rivoluzionaria' - ricordava in proposito Gramsci e il film interpreta a suo modo il concetto. Al centro della scena c'è Enrico Oliveri (Toni Servillo), grigio burocrate di un partito di sinistra (“un partito di opposizione” - la prende un po' alla larga Andò all'inizio); sotto la sua stanca guida il partito arranca sempre più, nei sondaggi e nella linea, oltre che nei rapporti con l'opinione pubblica. Oliveri lo capisce e, in crisi, abbandona tutti alla vigilia di importanti appuntamenti elettorali, scegliendo di sparire.
Se ne va in realtà in Francia dalla vecchia fiamma Valeria Bruni Tedeschi, ora sposata con un regista di cinema di origine orientale, e proprio sui set transalpini e nei dintorni cerca una rigenerazione, lontano dai problemi di una politica senza entusiasmi, che si occupa di tattiche e di coalizioni, di alleanze e presenze televisive, senza alcun rapporto più con la realtà. Servillo, in queste vesti, sembra la versione pallida e grigia di quell'Andreotti che ha magistralmente interpretato per Sorrentino.

Ma il diretto collaboratore del leader, Andrea Bottini (un sempre più bravo Valerio Mastandrea), preso dal panico, ha a quel punto un'idea geniale: sostituire il suo capo con il fratello gemello, identico a lui come una goccia d'acqua ma solo fisicamente. Perché nella realtà è l'esatto opposto: imprevedibile, geniale, lunatico, estroverso e straordinariamente comunicativo, viene giudicato 'pazzo' ed infatti è in cura presso un ospedale psichiatrico, da cui però è appena uscito; quindi può sostituirsi al fratello fuggiasco (che non vede da più di vent'anni) e l'esito sarà a quel punto tutto da vedere.

L'esito è ovviamente trionfale: il gemello pazzo è vitale, capace di far sorridere chiunque, pieno di colpi teatrali nei comizi e nelle riunioni di partito, canta e balla che è un piacere. Bottini, sempre inappuntabile e a sua volta grigio da impazzire, si fa stavolta scompigliare i capelli e alla fine confessa a questo 'secondo Servillo': “Il fatto è che uno come lei, io stesso lo voterei”.

E la gente ascolta il nuovo 'pazzesco' Oliveri, ne affolla i comizi, aderisce che è un piacere a questo nuovo progetto politico all'insegna del sorriso e di una linea chiara di opposizione, senza tatticismi ('che ne dirà D'Alema?' - verrebbe da chiedere). Alla fine, compiuto il progetto, il gemello mattacchione sparisce a sua volta, mentre il fratello tormentato, rigenerato dalla Francia e dalla riscoperta dell'amore e della vita vera, rientra appena in tempo per gli ormai trionfali appuntamenti elettorali. Forse, però, perché, a mo' di sberleffo finale, Andò ci lascia il dubbio su quale dei due gemelli stia di nuovo alla guida del partito.

Senza insistere sulle tesi politiche e sui riferimenti ai nostri partiti (il PD, diremmo, ma lasciamo agli spettatori il giudizio), diremo che il soggetto è accattivante e affascinante, il racconto cinematografico divertito e a tratti divertentissimo, grazie a un Servillo straordinario che fa da mattatore assoluto, sdoppiandosi e sbizzarrendosi come solo lui sa fare.
Vogliamo poi ricordare anche Nanni Moretti e il suo 'con questi leader non vinceremo mai'?'. Magari sì, anche perché a produrre il film per la 01 della Rai è Angelo Barbagallo con la sua BiBi Film, storico collaboratore proprio di Moretti.

Cosa invece convince meno? Forse l'eccesso di citazioni colte, come dicevamo, perché anche un film è uno strumento di comunicazione che deve arrivare dritto al pubblico e qui “si divaga” un po' tanto (c'è persino un riferimento ad Angela Merkel, sembrerebbe); poi, il sovrapporsi di molti discorsi (non certo solo politici) in una stessa opera. Per dirne una, c'è molto cinema nel cinema, riferimento forse obbligato per chi ama il mezzo ma qui anche incongruo: Oliveri e la Bruni Tedeschi si incontrano al Festival di Cannes, il marito di lei è regista, come detto, a un certo punto viene mostrata, senza che sia ben chiaro il motivo, una straordinaria arringa di un Fellini di molti anni fa contro le interruzioni pubblicitarie nei film in Tv.

Lascia divertiti e interessati ma anche un po' sconcertati il film di Andò, anche se appunto ha momenti straordinari. Se non bastassero quelli elencati, ce ne sono altri: citiamo la presenza di una sempre 'ispirata' Anna Bonaiuto e soprattutto quella di un vecchio leone come Gianrico Tedeschi, nella parte di un 'padre nobile politico del passato' che giudica da par suo i 'piccoli leader' di oggi. Un Tedeschi che sembra un po' malandato e si dimostra invece ancora vitale, facendo le doverose corna al momento dell'evocazione dell'aborrito decesso.

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